Colpisce subito il titolo della mostra, emblematico e lapidario: AccessoNegato. Divieto ad entrare, a guardare, a capire, a vedere. Limite che Elisa Rossi (Venezia, 1980) vìola programmaticamente da subito, mostrando senza inutili esibizionismi ciò che è escluso allo sguardo, ciò che sta aldilà della leopardiana siepe e che può solo essere immaginato. Sono le donne a parlare, nella loro intimità, senza troppe parole, quasi in preda ad un meditato spleen esistenzialista. E la lirica è neoclassica, senza fronzoli narrativi e colpi di teatro. Fatta e giocata sulle degradazioni di colore che oscillano tra il bianco ed in grigio-verde che non scaldano mai l’atmosfera, nemmeno quando l’eros di una coscia o di una schiena nuda potrebbe scaldare gli occhi.
La serie Divieto d’accesso fotografa una successione di eventi senza in realtà voler cucire una storia. Sono gelate le situazioni, ogni tela vive di luce propria in un’atmosfera da privata aurea mediocritas, fatta di equilibri cromatici e composizioni che molto spesso ritaglino porzioni di corpo femminile, catturato nel bagno, lontano dal mondo maschile/lista. È la luce ed il colore a parlare, e il corpo è più pretesto figurativo che soggetto. L’essenza della donna si sgonfia nell’intimità di un gesto, reso allo spettatore per solo effetto plastico.
Diversa è l’altra serie, Corredo (dedicata ai pizzi, ai centrini all’uncinetto, ai ricami), in cui lo stile iperrealista fa venire in mente le fiamminghe prodezze seicentesche dei colletti e dei merletti. Ma anche qui il colore raffredda fino a rendere algide le composizioni, e fa emergere senza esitazioni una figurazione meditata, che rende visibile (in tele anche molto piccole) ciò che per noi, grandi mangiatori di immagini femminili, della donna passa quasi in secondo piano.
Sia essa la biancheria personale che il più classico corredo da dote. È l’intimità, in senso esistenzialista, emblematica di una profondità che la Rossi riesce a cogliere, facendo di ogni lavoro (considerato che le tele sono dipinte anche sui bordi, a testimonianza di una intelaiatura successiva alla pittura) un oggetto, un piccolo pezzo di mondo rubato alle donne.
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Una nuova Tamara de Lempicka...coerente con le preferenze visive di Sciaccaluga ma cosa centra Beatrice? Da un po di tempo le sue scelte curatoriali e di critica sono sempre più alla Sciaccaluga/Riva.
Io lo preferivo più badpainting...più sbottonato...
ma che schifo dove passano sciaccaluga beatrice le gallerie entrano in crisi,attenti a quei due.
porteranno sfiga?