L’aveva intuito
Marcel Duchamp, l’aveva previsto John Lennon. Era capitato anche ad
Adolf Loos, nel 1911, di trovare per caso ciò che (non) aveva cercato così a lungo: la facciata di una casa nel disegno di un tombino aperto su una strada viennese.
Federico Maddalozzo (San Vito al Tagliamento, Padova, 1978; vive a Bologna) coglie la svista e si libera dai codici Pantone, dalla limpida sintassi multicolor. Luce, colore e analisi fisica della visione lasciano spazio a ciò che rimane, il cortocircuito visivo tra l’oggetto e lo spettatore, in un nuovo orizzonte percettivo. “
Dipingo quello che non può essere fotografato. Fotografo quello che non voglio dipingere. Dipingo l’invisibile. Fotografo il visibile”, scriveva
Man Ray. Maddalozzo non usa pennello e macchina fotografica, ma dipinge quello che trova fra visibile e non visibile. Sceglie altre vie. Lascia i pixel tridimensionali reattivi per approfondire la concezione wireframe della percezione e, attraverso una derivazione sia estetica che mentale, trasforma il senso delle cose per scoprire quello che non c’era, o che non appariva.
A parete mette in cornice il significato fatale ed evocativo del difetto di piegatura. Espone 15 pagine di libri sempre aperti, momenti interrotti, angoli ripiegati, indizi di esperienze artistiche personalmente vissute ma non riposte per sempre. Il foglio illustrato ricade su se stesso, parte del visibile viene nascosto. L’artista raccoglie la superficie piegata, immobilizza le due dimensioni contrapposte (davanti e dietro, prima e dopo) e le presenta allo sguardo.
L’allestimento vettoriale prosegue la sua nitida traiettoria ai bordi dello spazio espositivo. Maddalozzo sottrae da un cantiere un grande pannello pubblicitario, occulta il messaggio visivo promozionale (tamponato contro la parete della galleria) ed espone il retro, l’impalcatura lignea di sostegno. Lo spostamento da un layer percettivo a uno concettuale. L’inversione di ruoli: il messaggio pubblicitario scompare, il packaging sovrastrutturale sovrasta. È l’equivoco premeditato. Il bordo dell’oggetto è formalizzato, ricollocato e presentato in una nuova dimensione artistica, aperta a nuove interpretazioni percettive, a nuovi spazi mentali.
Al centro della galleria, un rebus scultoreo tratta di lunghezze d’onda, in un controllato capovolgimento di termini. Alcuni cavalletti sono allineati, un cavo nero ondulato li connette. È la rappresentazione concisa più che astratta di una sinusoide, lo spettro luminoso, il grafico che mostra l’intervallo delle radiazioni visibili all’occhio. La spiegazione progettuale del fenomeno visivo da un punto di visione, un’installazione che alletta l’occhio e affascina la mente da ogni altra prospettiva.
Come scrive il curatore, Gigiotto del Vecchio. “
l’errore, quindi, rappresenta un momento di grande possibilità di rilancio, è la riflessione su ciò che è stato fatto e su ciò che ancora si può e si deve fare, sulle possibilità ulteriori e sulle possibilità di modificazione di un gesto compiuto”. L’oggetto diventa altro, un gap in grado di ricostruire la percezione e rinnovare l’emozione.
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errata corrige:
San Vito in provincia di Pordenone
L´artista vive a Berlino
:)
Ma il 22 dicembre si trasferisce a New York!
(: