Bartolomeo Migliore (Torino 1966) -reduce dalla mostra Melting pot a Palazzo delle Papesse e da una personale alla Buia Gallery di New York- dipinge parole. Con fare veloce e impulsivo. Le urla e le ripete, le spara nei suoi acrilici su tela e sono termini agíti nel mondo della cultura underground dove il ritmo musicale scandisce quello del vivere, segni-significativi che rimandano a nomi adulati, insistiti, abusati, a frammenti sconnessi di comunicazione. Sono scritte in inglese, nell’accezione linguistica dello slang americano dove un tonight si semplifica in tonite, focalizzano l’attenzione su termini evocativi come rock, shock, skin, life, remorse, soon, hush e su frasi usate come slogan del tipo “fall down to go”.
Il segno-parola di Migliore, la cui allusività risuona e provoca echi di senso, è accompagnato da brandelli di simbologie universali e trasversali -come la stella a cinque punte- o personali -come la rondella d’ingranaggio circoscritta in un cerchio- che diventano una sorta di marchio o logo di riconoscimento dell’autore rimandando parallelamente a significati globalizzati. “Lui è un black” dice senza esitazioni Michela Cavallarin che cura la mostra nella galleria veneziana. Il linguaggio metropolitano, sporco e segnato da contaminazioni differenti, si svolge attraverso serie pittoriche che scorrono al ritmo sincopato di un video clip.
La scelta del nero di fondo indirizza la percezione verso le brevi, subitanee deflagrazioni di fluorescenze rosa, verde e viola che avvicinano, scortano e mettono in rilievo i caratteri cubitali tracciati in bianco per parole che, ingigantite, diventano protagoniste dello spazio pittorico. Sembra che si siano trovate all’improvviso ad essere riverse sulla tela dopo aver soggiornato su qualche muro cittadino o nelle pareti sotteranee della metropolitana, senza peraltro perdere nel passaggio la loro carica esplosiva graffitista.
Rock e Shock appaiono come la risposta emotiva viscerale ad una realtà sempre più frammentata, fratta che si riflette in una compagine visiva destrutturata, ritmata da strisciate di colore acido che evocano i processi degli spot pubblicitari spogliati del glamour di facciata che serve alla vendita dei prodotti. La materia segnica è potentemente espressiva, gridata, accoglie reliquie di ciò che resta di cultura Pop nelle generazioni contemporanee e echi di voci che uniscono nelle scritte la loro identità corale. Se le installazioni Rock e Shock occupano gli spazi collegati alla galleria, la white box del luogo espositivo diviene muro cittadino su cui le scritte, le cancellature, i giochi linguistici, interventi site specific, mettono in atto comunic-azioni e provoc-azioni realizzate direttamente e appositamente per la galleria. Il silenzio -come il candore delle pareti- è interrotto e riempito solo da una scritta ocra in sanscrito, scelta dall’autore essenzialmente per la sua struttura estetico-architettonica, il cui significato non aiuta la ricerca di vibrazioni di senso. Significa “sandalo” e al massimo può evocare un odore, un sentore d’incenso, mentre la parete adiacente rimbomba di kick me, bring it home, coming soon, hush (cancellato) e tonite. Niente tinte accessorie, solo nero, argento, ocra e bianco opaco per un impatto diretto, acuto ed efficace. Ma siamo davvero a Venezia?
myriam zerbi
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ma che senso .........c'e' in tutto questo
personale alla Buia Gallery?