Meduse impastate a gesso, una radiografia espressionista della Pietà del Tiziano, combinazione di mute di insetti d’oriente, un puzzle di pezzi d’intonaco, e piume di pavone disposte a rosone. E finanche un profumo che aleggia in galleria e che, tra le opere messe in mostra, è forse la più riuscita, anche s’è invisibile. Lo è almeno per quel che suggerisce il titolo: “Entrare nell’opera”, a cura di Daniele Capra, da un’idea di Marina Bastianello.
Prima mostra del 2016 con cui la galleria Massimodeluca di Mestre inaugura il suo quinto anno di attività e che sarà visitabile fino al 2 aprile. Nove lavori di sette artisti, più o meno trentenni, e quasi tutti appena noti, se non esordienti, che perseguendo il tema poverista sviluppato da una serie di scatti del 1971 firmati da Giovanni Anselmo (che dà l’omonimo titolo della mostra) guardano all’intervallo che si apre tra l’opera e l’osservatore. Meglio ancora il dire, richiamando le parole programmatiche del ’67 di Celant su Anselmo: “Gli oggetti vivono nel momento di essere composti e montati, non esistono come oggetti immutabili, si ricompongono di volta in volta, la loro esistenza dipende dal nostro comportamento”. Eppure a detta del curatore, l’allusione al titolo anselmiano è un pretesto. Il punto invece è un altro: “È la necessità dello sguardo altrui”. Che certamente l’estetica del quotidiano ha messo a tema, ma che con uno volo insolito, potrebbe essere cercato anche in alcuni autori della grande pittura fiamminga.
Ad esempio in certi dipinti, dove una minuscola goccia d’acqua, persa a dettaglio nel folto di un bosco, rivela a specchio un volto che la osserva: o qualcosa di esterno alla tela e che è capitato lì se non per caso di certo per gioco. Insomma, una traccia, forse un dispositivo, che dice che l’opera non è un organismo autosufficiente a sé, ma che invece si apre al dialogo e lo contiene dal punto di vista formale, come capita nella goccia che specchia un volto. Su questo tema insiste Tear di Stefano Moras (Pordenone, 1985): raffinata composizione di mute di insetti, raccolte dall’artista quand’era presso una residenza in Taiwan, dove la morfologia naturale è riorganizzata in altre forme che sollecitano la collaborazione dell’osservatore. Altresì, Azul di Marie Denis (Bourg- Saint-Andéol, 1972), dove piume di pavone verde smeraldo alludono alla simbologia astrale dell’animale nella disposizione a rosone di una chiesa. Oppure, Respiri di Graziano Folata (Rho, 1982), che stampa con torchio il corpo delle meduse su carta giapponese e lascia così intendere che la traccia dell’esterno diventa la matrice stessa del lavoro. Matrice è anche il titolo dell’olio di Paola Angelini (San Benedetto del Tronto, 1983), artista a cui la Massimodeluca ha dedicato quest’anno la personale di Artefiera, dove lo schema della Pietà del Tiziano è tratteggiato in fondo al dipinto, e sopra vi lavora con paste di colore espressioniste. Più concettuale Untitled 2009 di Dominique Figarella: l’artista del 1966 fa ingresso – come Anselmo nei suoi scatti – nella base fotografica della digigrafia che poi lavora con acrilico e spray e infine, a chiudere la nostra visita, il video di Stefano Cozzi, Borrowed Time.
Marco Petricca
mostra visitata il 18 febbraio
Dal 19 febbraio al 2 aprile 2016
Entrare nell’opera
Paola Angelini / Stefano Cozzi / Marie Denis /
Dominique Figarella / Graziano Folata / Stefano Moras
Galleria Massimodeluca,
via torino 105/Q
30172 Mestre Venezia
Orari: da lunedì a venerdì dalle 10.00 alle 17.00, sabato dalle 16.00 alle 18.30
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Mamma mia, più che artisti paiono biologi in vacanza!
Che vecchiume, ancora a guardare l'arte povera, poveri noi!