Seek Refuge è un progetto-matrioska: due artisti,
Filippo Borella ed
Enrico Cazzaniga, ideano un progetto e chiamano due curatori, Marta Casati e Riccardo Lisi, invitando a lavorare sul concept altri venticinque artisti. Quello che viene chiesto a tutti è di costruire un proprio rifugio in un luogo espositivo decisamente insolito, un camping alla periferia della terraferma di Venezia. In effetti, il sottotitolo della mostra è
Insediamenti precari in luoghi di transito, una metafora della precarietà generale dei ritmi contemporanei, che c’inducono alla necessità di ricreare una nicchia – interna o esterna – di salvezza e intimità per la preservazione personale.
Tra gli artisti, c’è chi ha scelto di costruire un rifuggio fisico, come la casa sull’albero realizzata da
Adelita Husni-Bey, dotata sia di un pannello fotovoltaico che di un giardino idroponico. O ancora il letto a castello coperto da un tetto e trasformato in casa da
Franco Menicagli e l’
Agenzia mobile immobiliare di
Gonzalo Laborra e
Federica Tavian, che stipulano regolari contratti d’affitto per la possibilità di dormire in una scatola di cartone, ironicizzando sulla speculazione immobiliare.
Maurizio Mercuri equipaggia una roulotte per farla diventare una specie di cabina acustina dal sottofondo nostalgico. Sette altoparlanti diffondono un suono sottile e apparentemente senza senso, che catturato però da un monitor, che ne rivela lo spettro, traccia la forma delle montagne che si vedono dalla reale abitazione dell’artista.
Il concetto di rifugio assume per altri una valenza più impalpabile. Può essere un rifugio spirtuale, come quello che
Tarshito ricerca nei riti e nelle filosofie del popolo indiano e che propone con stampe di edifici tipici e vari simboli di quella cultura. Oppure un nido tecnologico come quello che
Luca Lo Coco costruisce online, creando
Quit Magazine, rivista libera di cultura in cui ognuno può scrivere e dove non è prevista la figura di un direttore. Mentre un chiaro richiamo alla filosofia è quello che
Francesco Arena proietta tra gli alberi: un’immagine fissa della baia di Heidegger.
Dalla filosofia il passo è breve per raggiungere l’utopia, o meglio le
Utopia Nations che
Al Fadhil mette in scena in una perfomance. Davanti a un posticcio posto di blocco, di fatto l’entrata al camping, l’artista in tenuta militare osserva chiunque entra, ma non ferma e controlla nessuno, simboleggiando il sogno di un Paese aperto a ogni scambio e dialogo culturale.
Ma ci sono anche artisti che lavorano in senso inverso, creando tutt’altro che un rifugio nel quale rintanarsi. Come gli scatti di edifici in decadimento immortalati da
Sergio Racanati, il muro bianco, solido, rigido e inospitale di
Alek O. e la ricostruzione di un piccolo campanile di San Marco da parte di
Andras Calamandrei come simbolo di un’architettura e di un potere ottenuto con la guerra e la distruzione.
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Che bello! vorrei salire sulla casetta sull'albero!!!