Mettere a confronto artisti diversi per motivazioni e
necessità può produrre un dialogo interessante e curioso. In questa direzione
vanno le scelte di A Arte Invernizzi Seragiotto, che dopo
Aricò/
Ciussi e
Castellani/
Morellet, con questa mostra offre spazio
al racconto di una memoria che tocca il presente e che si offre come movimento
fra interiorità ed esteriorità.
“
Due artisti di diversa generazione e di diversissima
ispirazione”,
dice Giorgio Verzotti nel testo in catalogo, riferendosi a Francesco Candeloro
e Dadamaino, che però sono confrontabili “
sul piano della forma fino a
diventare complementari”. E anche se c’è “
più di una generazione” a dividerli e “
molte scelte
esplicite e ragioni intime, ad unirli c’è invece una comune propensione a
dubitare del senso comune, e a contestarlo in base ad una sana abitudine al
sospetto”.
Il senso del tempo è un altro elemento che arricchisce
tale legame e complementarietà, e non solo perché si tratta di flussi d’immagini,
segni e visioni, ma anche in ragione del fatto che i due hanno in comune una
visione complessiva basata su una certa poesia dell’instabilità.
Per Dadamaino si tratta di piccole porzioni d’esperienza ridotte
a puro tempo e movimento; per Candeloro dell’immagine e della visione che
prende corpo e che somma ogni singola conoscenza, accavallandola e mettendo in
discussione il presente.
Di
Dadamaino (Milano, 1930-2003) la galleria ha scelto la serie
Sein
und Zeit, della
fine degli anni ’90, in cui la visione del mondo è un segno che riempie la
superficie semitrasparente del poliestere, che ritrova la complessità del
pensiero e dei fatti riducendoli a piccole linee, ma lasciandone anche
trapelare la complessità attraverso l’ombra tra l’opera e il muro da cui è scostata.
Con un grande lavoro – circa 5×1 metri – che scende dal
soffitto e tocca il pavimento finendo arrotolato, il legame dell’io con il
mondo pare completo e pronto ad aprirsi del tutto al contatto con le opere di
Francesco
Candeloro (Venezia, 1974), in cui a ben guardare il processo è contrario, ma fatto di
simili elementi.
Il suo discorso nasce dal volume e dall’immagine
sovrapposta, così come dalla ricerca di prospettive e punti di vista insoliti
per la visione. Il movimento, la luce e il tempo cambiano la percezione e la
lettura delle cose, mentre le aperture e le successive stratificazioni dei
plexiglas serigrafati non sono solo finestre e occhi per guardare il mondo (
Segni
del tempo, 2009),
ma anche opportunità per il segno di diventare immagine.
Come nel caso di
Direzioni (libero 6), libri nelle cui pagine appese il
tratto si assottiglia e il tempo è scandito dall’occupazione dello spazio, dal
sovrapporsi dei materiali e dalle molteplici possibilità della visione a
rivelare la propria precarietà.