Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
27
marzo 2008
fino al 20.IV.2008 L’ultimo Tiziano e la sensualità della pittura Venezia, Gallerie dell’Accademia
venezia
Colori pastosi spalmati sulla tela con le dita e lavorati, rabbiosamente, con i polpastrelli, “a macchia”. La sensualità espressa attraverso la fisicità della materia. Una tecnica nuova che creò l’effetto, scioccante, di un incompiuto. E che invece porta con sé il soffio spirituale dell’infinito...
La tela di quasi 4 metri per 3 e mezzo domina la parete. I colori cupi si fondono con il muro grigio antracite. Ma, al centro, la luce è sul dramma della Pietà, la Vergine che contempla il Figlio sotto una cappella votiva imponente ma spoglia, la Maddalena scarmigliata che si rivolge a noi, rivendicando l’estremo sacrificio per la redenzione dell’umanità. È l’ultima opera di Tiziano, testamento del maestro ritrattosi vecchissimo nelle sembianze smunte di san Girolamo. Anch’egli, come tutti, supplice al cospetto di Cristo, a invocare la salvezza dalla peste che di lì a poco lo avrebbe portato, con tanti altri veneziani, alla tomba.
Siamo nel 1576, è l’ultimo anno del divino artista. Il peso dei suoi ottantasei anni si sente guardando la tela. Il colore, steso con le punte delle dita ormai incapaci di impugnare il pennello, è lavorato con rabbia dai polpastrelli. Così il maestro portava all’estremo quella pittura, già praticata da venticinque anni, che se il Vasari bene definì “a macchia”, agli altri contemporanei lasciò l’amaro in bocca, insieme alla sensazione di incompiuto e non finito. Forse fu per questo che Palma il Giovane, con la reverenza che si prova nei confronti dei mostri sacri, cercò di completare l’opera, aggiungendo solo qualche angioletto e una piccola iscrizione. Forse è per questo che le opere dell’ultimo Tiziano ci sembrano familiari e ci fanno inconsciamente invocare gli esiti più arditi della pittura espressionista.
La mostra, allestita nelle volte gotiche della chiesa della Carità nelle Gallerie dell’Accademia, è densa di capolavori e dà la possibilità di poterli apprezzare senza venir travolti dal flumen lutulentum della quantità che sfinisce, annacquando ogni buon proposito. Nel mare magnum delle “grandi mostre”, spesso più di nome che di fatto, questo è senza dubbio un merito.
In tre spazi distinti (ritratti, poesie o temi profani, temi sacri), la rassegna propone ventotto tele di Tiziano dipinte tra la metà del Cinquecento e la sua morte. L’allestimento crea un ambiente raccolto e mette a suo agio lo spettatore, che colloquia quasi ad altezza d’occhio tanto con i ritratti del terribile Aretino “flagello dei principi”, del vecchio pontefice Paolo III, del corpulento Elettore di Sassonia e dei dogi, quanto con i due autoritratti del maestro stesso, anche se non ci guarda mai direttamente, forse per non svelare fino in fondo il proprio mistero creativo.
Il titolo della mostra richiama la sensualità delle ultime opere di Tiziano. Ma non si allude certo a una squallida libido senectutis. La sensualità non si esplica tanto nello splendente e turgido tripudio delle carni di giovani donne mitologiche come la Danae (esposta in due versioni: Prado, 1550-53 e Vienna, 1560-65) o la Venere col suonatore di liuto (Met, 1565-7), quanto piuttosto nel colore forte, materico, steso in grosse pennellate drammatiche e teatrali. Che rendono i due Tarquinio e Lucrezia altrettanti fotogrammi, violenti e ineluttabili, di uno stupro.
La sensualità di questo Tiziano filologicamente fa appello al senso, al tatto, alla corporeità e alla materia. Il che non significa che non sappia essere spirituale. Si veda il Cristo crocefisso e il buon ladrone (Bologna, 1565), l’Ecce Homo (Dublino, 1560) o di nuovo la Pietà: figure statuarie, tensione più intellettuale che fisica, colori bruciati e lividi a esprimere l’inesorabilità della morte e del destino.
Quel “non finito” che i contemporanei avevano giudicato incompiutezza e disequilibrio assume per noi il significato, opposto, di infinito, trascendente e sublime. E profondamente ci emoziona.
Siamo nel 1576, è l’ultimo anno del divino artista. Il peso dei suoi ottantasei anni si sente guardando la tela. Il colore, steso con le punte delle dita ormai incapaci di impugnare il pennello, è lavorato con rabbia dai polpastrelli. Così il maestro portava all’estremo quella pittura, già praticata da venticinque anni, che se il Vasari bene definì “a macchia”, agli altri contemporanei lasciò l’amaro in bocca, insieme alla sensazione di incompiuto e non finito. Forse fu per questo che Palma il Giovane, con la reverenza che si prova nei confronti dei mostri sacri, cercò di completare l’opera, aggiungendo solo qualche angioletto e una piccola iscrizione. Forse è per questo che le opere dell’ultimo Tiziano ci sembrano familiari e ci fanno inconsciamente invocare gli esiti più arditi della pittura espressionista.
La mostra, allestita nelle volte gotiche della chiesa della Carità nelle Gallerie dell’Accademia, è densa di capolavori e dà la possibilità di poterli apprezzare senza venir travolti dal flumen lutulentum della quantità che sfinisce, annacquando ogni buon proposito. Nel mare magnum delle “grandi mostre”, spesso più di nome che di fatto, questo è senza dubbio un merito.
In tre spazi distinti (ritratti, poesie o temi profani, temi sacri), la rassegna propone ventotto tele di Tiziano dipinte tra la metà del Cinquecento e la sua morte. L’allestimento crea un ambiente raccolto e mette a suo agio lo spettatore, che colloquia quasi ad altezza d’occhio tanto con i ritratti del terribile Aretino “flagello dei principi”, del vecchio pontefice Paolo III, del corpulento Elettore di Sassonia e dei dogi, quanto con i due autoritratti del maestro stesso, anche se non ci guarda mai direttamente, forse per non svelare fino in fondo il proprio mistero creativo.
Il titolo della mostra richiama la sensualità delle ultime opere di Tiziano. Ma non si allude certo a una squallida libido senectutis. La sensualità non si esplica tanto nello splendente e turgido tripudio delle carni di giovani donne mitologiche come la Danae (esposta in due versioni: Prado, 1550-53 e Vienna, 1560-65) o la Venere col suonatore di liuto (Met, 1565-7), quanto piuttosto nel colore forte, materico, steso in grosse pennellate drammatiche e teatrali. Che rendono i due Tarquinio e Lucrezia altrettanti fotogrammi, violenti e ineluttabili, di uno stupro.
La sensualità di questo Tiziano filologicamente fa appello al senso, al tatto, alla corporeità e alla materia. Il che non significa che non sappia essere spirituale. Si veda il Cristo crocefisso e il buon ladrone (Bologna, 1565), l’Ecce Homo (Dublino, 1560) o di nuovo la Pietà: figure statuarie, tensione più intellettuale che fisica, colori bruciati e lividi a esprimere l’inesorabilità della morte e del destino.
Quel “non finito” che i contemporanei avevano giudicato incompiutezza e disequilibrio assume per noi il significato, opposto, di infinito, trascendente e sublime. E profondamente ci emoziona.
artista correlati
Ancora l’ultimo Tiziano. Tra scelte bizzarre ed economie di scala…
elena percivaldi
mostra visitata il 24 gennaio 2008
dal 24 gennaio al 20 aprile 2008
L’ultimo Tiziano e la sensualità della pittura
Gallerie dell’Accademia
Campo della Carità (zona Accademia) – 30123 Venezia
Orario: lunedì ore 8.15-14; da martedì a domenica ore 8.15-19.15
Ingresso: intero € 10; ridotto € 7
Catalogo Marsilio
Info: +39 0415200345; www.ultimotiziano.it
[exibart]