Alzi la mano chi, pensando ai Barbari, non ha in mente uomini alti, vestiti di pelliccia, con lunghi baffi e elmo con le corna, che portano morte e devastazione ovunque. Ebbene, la mostra
Roma e i Barbari a Palazzo Grassi vuole sostenere che non era esattamente così, che i Barbari erano in realtà popoli che non invasero soltanto i confini dell’Impero ma che, con le loro migrazioni, furono anche in grado di interagire, convivere e integrarsi con esso.
Ecco uno dei motivi centrali della mostra: abbattere lo stereotipo del barbaro invasore e distruttore per mostrare, attraverso i duemila pezzi esposti, l’importanza che ebbe per l’Impero romano l’esser venuto a contatto con queste popolazioni. Emerge dunque la necessità , alla luce dei tempi moderni, di favorire l’integrazione e “
mettere in evidenza l’ibridazione tra le radici greco-romane e le radici germaniche da cui ha origine la cultura europea“, come afferma il curatore Jean-Jacques Aillagon.
Il viaggio inizia con la gloria di Roma sui Barbari, visibile nel bellissimo
Sarcofago di Portonaccio, un altorilievo composto di combattenti e prigionieri, cavalieri fra lance e teste mozze. Proseguendo s’incontrano i ritratti degli imperatori, fra cui di gran pregio è il busto in oro di Marco Aurelio, uno dei tre ritratti romani aurei scampati al processo di rifusione. Di straordinaria fattura l’elmo trovato a Deurne e risalente al 320 d.C., in argento dorato e ferro. Rilievo notevole rivestono in mostra le
Insegne del Palatino, ossia le insegne del potere dell’imperatore Massenzio: scettri e punte di lancia da parata, pezzi unici.
Importante testimonianza della volontà dei Barbari d’integrarsi all’interno dell’Impero è la
Tavola Claudiana, tavola bronzea che reca inciso il discorso pronunciato dall’imperatore Claudio al Senato per chiedere di concedere ai notabili galli l’accesso alle istituzioni romane.
Continuano le migrazioni, arrivano i Goti e con loro i capolavori dell’oreficeria cloisonné, come il raffinato
Cofanetto di Teuderico in oro, ricoperto da una rete di filetti egualmente dorati, saldati con paste di vetro a cabochon e cammei. La scomparsa dell’Impero d’Occidente (476 d.C.) favorisce la nascita di regni barbarici come gli Ostrogoti di Teoderico. Nella pregiata tavoletta di pentadittico dell’inizio del VI secolo, proveniente dal Bargello, è forse rappresentata la regina Amalasunta. Non mancano nemmeno esempi delle competenze dei Barbari nell’arte della metallurgia, tra cui spicca il
Piatto di Annibale.
La mostra affronta anche “
il ruolo della donna in una società di uomini”, esponendo ad esempio la tunica della regina Batilde, che sembra ricoperta di gioielli, in realtà ricami.
La fine del millennio è rappresentata, nel
Dittico di Rambona, dalla lupa con i gemelli sotto la Crocifissione, indicando che Cristo domina ormai su Roma. Con l’
Evangeliario di Notger siamo ormai nel Medioevo.
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I barbari dell'architettura. Il nuovo accesso a Venezia un progetto da bocciare.
Stupisce, confrontando i progetti di architettura pubblica recentemente realizzati (o in corso d’opera) nel Veneziano come l’ospedale di Mestre, il nuovo accesso al centro storico sito tra Santa Marta e il Tronchetto (di Mauro Galantino), o il primo, sconcertante progetto del padiglione ospedaliero Jona coraggiosamente contrastato dalla Soprintendenza (malgrado le arroganti reazioni di Antonio Padoan), come si tratti di costruzioni assai simili per forma e disegno, che ripetono lo stesso schema: facciate rettangolari più o meno inclinate, tagliate da monotone griglie.
Sono architetture che esprimono una forma ma non un pensiero, una qualità e un immaginario; rientrano in quel genere di edifici che può essere collocato in qualunque città del mondo indifferentemente perché non manifestano, negli elementi compositivi e nello stile, un confronto con il luogo e la cultura nella quale si inseriscono.
Risulta particolarmente incongruo il nuovo accesso di Venezia: parrebbe un edificio esteticamente piĂą consono come struttura di arrivo a Mestre.
A cosa si deve una tale povertà di creatività ? Per un architetto è più facile pensare una struttura complessa quando alla distribuzione interna degli spazi non c’è da associare una ricerca estetica pregnante che vincoli il disegno delle forme. Ma non si tratta solo di questo. La vera risposta va cercata nelle commissioni selezionatrici, e quindi nell’elitario ambiente culturale da cui questi progettisti provengono. Io stesso vedo continuamente giovani studenti uscire dall’Università di Architettura con una testa indottrinata da mille inutili teorie, ma quasi analfabeti in quanto a composizione e disegno. A mio avviso il nuovo accesso a Venezia è un progetto da bocciare, e con esso chi dietro un falso rigore di forme nasconde la mancanza di idee e talento, l’incapacità di legare alla struttura architettonica un pensiero.
La giuria che ha scelto il progetto: Teresa Ormenese -Direttore tecnico di APV Investimenti-, Renata Codello, sovrintendente di Venezia e Laguna, Francesco Dal Co, professore ordinario della Facoltà di Architettura dell’Università IUAV, Giorgio Orsoni, professore ordinario della facoltà di economia dell’Università Cà Foscari, Vito Saccarola, presidente dell’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Venezia.