Alla sua prima personale, Aimara Garlaschelli espone sette stampe fotografiche nelle quali ferma il lento galleggiare di petali e fiori recisi sul velo dell’acqua. Come nei ricordi il passato, così in queste brevi sequenze temporali la vita si ferma, congelata in uno dei suoi passaggi. Sono per lo più immagini composte: due o tre moduli di uno stesso soggetto che il visitatore, inizialmente, percepisce come unitarie per poi coglierne la ripetizione, il moltiplicarsi ossessivo. La giovane
“Virescit è il progetto di un libro, un lavoro di anni svolto su me stessa e sull’osservazione dei fiori e di una pianta che amo particolarmente, che considero essa stessa metafora della lotta di vivere: il nocciolo giapponese […]. Tra le principali fonti di Virescit cito senz’altro The Waste Land (Terra desolata) di Eliot Thomas Stearns e la straordinaria Ofelia (1852) di Millais ”.
L’esposizione padovana di Aimara Garlaschelli è il traguardo di un lavoro impietoso che prende il titolo da un motto militare latino, ripreso da Friedrich Nietzsche e pronunciato dalle milizie romane prima dell’attacco finale: «Increscunt animi, virescit volnere virtus » (gli animi crescono, il coraggio rinverdisce dalla ferita). Rinvigorire, dunque, prendere forza dalla dolorosa certezze che la memoria e gli umani tentativi di sfuggire la decadenza fisica non possono cancellare la verità della morte.
Eugenio Percossi mette in mostra dei ratti da laboratorio e lo fa usandoli a immagine dell’uomo. Life raccoglie tre nuclei di stampe fotografiche. Il primo propone ratti in libertà: alcuni normali, altri frutto di mutazioni genetiche (e il ricordo va al lavoro sui topi mutanti di Johannes Dario Molinari). Il secondo
Centrale alla mostra è la successione di immagini che, ritraendo la malattia del ratto-uomo, simboleggia – senza alcun intento moralista o di denuncia animalista – la vita, la malattia e la morte. Il ratto da laboratorio subisce il male che gli viene inoculato così come l’uomo, oggi più che mai, è costretto a vivere in una grande gabbia inquinata e letale. Come l’uomo il ratto vive nell’ignoranza del suo destino (simboleggiato dalla cartella clinica appesa all’esterno della gabbia e nascosta al protagonista) ed Eugenio Percossi si compiace nel condurre il visitatore, attraverso una serrata serie di rimandi alla condizione umana, rendendolo osservatore scomodo, atterrito e intenerito al tempo stesso.
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belle quelle foto davvero, ma con 2 euro il mio fratello le faceva meglio. hai capito il succo del discorso?
E' veramente uno schifo fare dell'arte sulla vita di poveri esserini inermi. Questa psico-pseudo simbolizzazione di ogni singola cavolata irrompe disgustosamente in troppa arte contemporanea.
Ogni tanto sarebbe gradita un po' di critica Critica.. e non parolame giustificazionista. Sorry!
no la Estro non può abbandonasi a sto prototipo di artisti!! No e poi NO
non capisco... virescit...garlaschelli...
non capisco questa "linea", ovvero la linea di questa mostra alla estro. abbiamo visto di meglio alla estro.