Dipingere è il gesto dell’osservare. La trascrizione mentale di realtà sensibili tradotte solo successivamente in operazioni meccaniche di sintesi ed equilibrio. La pittura di Jernej Forbici (Maribor, 1980), giovane pittore sloveno ormai di casa a Venezia, è la pittura dello sguardo, che si appoggia sul paesaggio circostante e lo indaga nel dettaglio fino ad appropriarsene. In my place, la mostra con la quale la galleria 3D & Perelà prosegue la politica espositiva di valorizzazione di giovani artisti (Forbici ha già esposto presso lo spazio veneziano all’interno della collettiva inaugurale Esposizione zero) è una lunga e minuziosa narrazione paesaggistica “autobiografica” e a tratti bucolica delle campagne slovene di Hilda. (attuale sede di una discarica dimessa che ne ha modellato e condizionato il territorio). La sua è una visualizzazione pittorica di luoghi geografici indagabili e conosciuti, anche se apparentemente resi ostici e inavvicinabili dalle linee di fuga lontane e da orizzonti sfuggenti. Il my place del titolo suona come riscoperta di aree affettive fortemente ri-evocate ed individuate, non casualmente, in percorsi mnemonici ed introspettivi, nella natura dietro casa come nell’esercizio della pittura stessa. Lo sguardo di Forbici amplia gli angoli visivi, si eleva, dilata i piani compositivi, evidenziando un mondo di equilibri cromatici e di particolari minimali che si ripetono uguali, nello spazio e nel tempo, come ritmi compositivi, pittorici e geografici. Le grandi e recenti tele qui esposte, risultato di lunghe ricerche sulle forme di rappresentazione del territorio, alternate agli olii dei piccoli Black Boxes (14×14 cm) e ai quattro Light Boxes (freddi paesaggi fotografici su vetro satinato retro-illuminati) sono il resoconto di esperienze che fondono ora richiami impressionisti, ora suggestioni atmosferiche turneriane, ora pesantezze cromatiche di espressionismo nordico.
Il passaggio sulla tela è grave, autoritario, le campiture materiche smuovono il colore come l’aratro segna la terra. A tratti il colore si raggruma e smette di essere descrittivo, per soffermarsi in piccole esplosioni astratte che di quel mondo terreno ne sono cellule primarie. Una pittura in movimento, non solo per i solchi prospettici con i quali i nostri percorsi visivi vengono cineticamente condotti oltre i campi seminati con cura, oltre le ultime file di pioppi, oltre le anse sinuose descritte dai corsi d’acqua, ma per la rapidità con la quale il pittore lambisce il territorio, a volo d’uccello, puntualmente annotato nei mutamenti topografici ed emozionali. E’ questo il mio luogo? Se questo è il migliore dei mondi forse è solo illusione prospettica atta a distrarre, forse è il territorio violato dall’uomo che quotidianamente si reinventa in nuovi punti di fuga, in nuovi segni da cogliere e da trascrivere. Il senso claustrofobico di cieli bassi e pesanti stride con l’agorafobia indotta dagli spazi aperti ed infiniti, ma sfocia alla fine in una statica quiete che si ripropone immutabile nei colori e nelle memorie del tempo.
gaetano salerno
mostra visitata il 22 novembre 2005
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