Daniel González (Buenos Aires, 1963) – artista dalla personalità esplosiva e carismatica, ex tennista a livello professionistico, ex chimico, promoter di feste ma anche fashion designer di una linea d’abbigliamento a tiratura limitata – è il protagonista del secondo appuntamento espositivo nella nuova sede della galleria Vernon International & In Stage.
Dopo la presenza a
Manifesta7 con la perfomance/workshop
My Clothes e i successi di
Chili Moon Town e
Homeless Rocket with Chandeliers, progetti realizzati in collaborazione con
Anna Galtarossa, anche in quest’evento espositivo González dà vita a un mondo caleidoscopico cucito con paillette, frammenti di stoffe, pon-pon di lana, nastri argentati e neon colorati. Un mondo che energicamente coinvolge e trasporta in un’atmosfera “glamour”, in cui il look colorato e vistoso funziona come antidoto a un’eccessiva serietà.
Un salto indietro ai primi anni ‘70, quando la moda dei lustrini e degli strass esplose grazie anche al glam-rock, la cui musica era caratterizzata da temi sessuali, divertenti ed epidermici. Un genere estremamente semplice, in cui la superficie era la sostanza.
Una patina seducente, che González riscatta nell’inseguire la sua appassionata utopia di una “
rivoluzione attraverso la bellezza”. Un’idea di bello identificata appunto nel glamour, che con leggerezza e “
profilo basso”, spiega l’artista, induce a lottare in nome delle emozioni, i
stiga alla ribellione, invita a spogliarsi “
dei codici comportamentali”, a “
vivere senza freni le emozioni” e a “
non aver paura di esprimere gioia, rabbia, dolore”, per ritrovare una genuinità, una libertà e una purezza che ancora rimane nascosta nel bambino che è in noi.
In quest’ottica è pienamente giustificata la scelta di recuperare, nelle serie dei suoi banner painting, un disegno volutamente infantile. Uno strumento che, volto a rappresentare ironicamente la realtà, affronta i luoghi comuni e le frustrazioni dell’uomo contemporaneo per stravolgerli e farli scoppiare attraverso l’immaginario fanciullesco. Anche la particolare lavorazione dei suoi stendardi trova una coerente giustificazione teorica in quella sentita volontà di coinvolgere e stimolare lo spettatore.
L’utilizzo delle paillette, con il loro carattere di discontinuità, di appiattimento, e quegli effetti luminosi e brillanti, rivela una perfetta analogia con le immagini video a bassa definizione che “
richiedono al fruitore un notevole contributo affinché li completi, ne colmi i vuoti stimolandone l’immaginazione e l’iniziativa”. E incoraggiandolo “
a mettersi lui stesso all’opera”, come scrive Guido Bartorelli.