“Lo spirito era quello di creare un’Italian Factory Point” -spiega Marco Petrus (Rimini, 1960), legato dal 2003 al progetto che si fa portavoce del rinnovamento della scena artistica contemporanea italiana- “per far conoscere la sua attività.”.
Questa tappa veneziana del suo lavoro, in concomitanza con la 52° Biennale, è di fatto una sorta di esposizione in progress, in cui la selezione delle opere viene aggiornata nel corso dei mesi. Alcune tele del 2006, che raffigurano gli scorci architettonici di Mosca, Como, Trieste e New York, sono state esposte anche ad aprile scorso, in occasione della personale Marco Petrus – Architettonica Petrus a Como, mentre altre -come Shanghai, metropoli che non ha lasciato indifferente l’artista- sono più recenti.
Il soggetto è, naturalmente, l’architettura. “Mi interessano le architetture monumentali con masse accentuate e volumi forti”, spiega Petrus, che attinge al repertorio del quotidiano come pretesto per stimolare la creatività. Osserva i volumi pieni, sfiora quelli vuoti, avvicinandosi sempre di più al dettaglio che inquadra e ingrandisce, senza remore nello scompaginarne i rapporti volumetrici, né tanto meno quelli cromatici. Perché si tratta sempre, e comunque, di personali interpetazioni della visione architettonica, non di lucida, razionale riproduzione documentaria.
Anche le inquadrature dal basso verso l’alto, i ribaltamenti, gli upside down, fanno parte di questo suo sguardo che esula da esplicite implicazioni concettuali.
Da sempre interessato all’architettura (la presenza umana è assente, o meglio solo indirettamente presente), l’artista si avvicina alla pittura da autodidatta: la sua prima mostra è del 1991, alla Galleria Noa di Milano.
Usa i colori ad olio, ma gli piace anche disegnare: tecniche miste su carta, acquarelli… “mai bozzetti del quadro, ma cicli a sé stanti”. Lavori concepiti come pagine di un diario di viaggio. Un carnet che si arricchisce nel tempo: “viaggio, fotografo, raccolgo materiali che lascio decantare prima di cominciare a dipingere”.
All’inizio era solo Milano, la città dove vive, ad ispirare quella che un tempo era per lui la ricerca del “paesaggio urbano”, nata comunque dall’osservazione della realtà, day by day. Un tessuto architettonico popolato prevalentemente di edifici degli anni ’30 -architetture formalmente pulite che rasentano la visione utopica- che alcuni critici hanno associato ora alla metafisica di Giorgio de Chirico, ora alla poetica di Mondrian. Poi, durante quei suoi itinerari precostruiti, Petrus, scopre -appena più in là del Duomo- la Torre Velasca.
Guarda dal basso i suoi 106 metri d’altezza. Un edificio avvenieristico per la Milano della fine degli anni ’50 (è stata progettata e costruita tra il ’56 e il ’58 dal gruppo di architetti BBPR), emblema del boom economico italiano. Nascono da lì le sue inquadrature inclinate, i ribaltamenti che puntano, ora, a nuovi orizzonti.
manuela de leonardis
mostra visitata il 16 giugno 2007
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A dir il vero sembra una mostra da trattoria o da bar, come il posto stesso dimostra. Ma il punto è perchè accostarsi alla Biennale in questo modo così becero?
La gente capisce quello che c'è dentro da quello che si accosta fuori.
il peggiore artista italiano!
voglio essere buono e' in buona compagnia !
una vergogna e costa pure tanto!