Scrivere della collettiva alla Giarina equivale a leggere un libro e fermarsi a metà. Il senso di sospensione, dichiarato dal titolo
Pre-Fazione, è però funzionale alla più ampia
opera omnia: l’evento collaterale
La seduzione nel segno, “rilegato” dalla stessa Martina Cavallarin con il dorso duro della Biennale numero 53.
In laguna, e precisamente nei pressi della Chiesa di Sant’Elena, la trama s’infittisce rispetto al plot veronese: il giorno dell’inaugurazione scaligera le sirene erano tre, ma a giugno se ne sono spiaggiate altre due, complice un’onda lunga fino al 22 novembre.
Ispirandosi all’unico uomo presente,
Richard Nonas, le cinque han scelto di sedurre con il solo ausilio della linea. A Verona, invece, fanno mostra di sé tre “grazie” su cinque, che si palesano in ordine d’età: Minjun Kim, Maria Elisabetta Novello e Gaia Scaramella.
C’è da dire che tutte e tre, mantenendo l’“i
ncoerenza geolinguistica” ravvisata dalla curatrice, puntano dritte come polene al paradosso tra materialità e approdo all’empireo. “
Chi fa arte e chi ne fruisce può incontrarsi, superando i propri ego e raggiungendo l’atarassia”, dichiara
Minjun Kim nell’intervista in catalogo
Tre voci.
Un’ammissione d’intenti non scritta è la sua sfera blu-
Klein che, in barba all’inventore delle antropometrie (per cui l’uomo era ancora misura di tutte le cose), crea l’illusione di un mondo in cristallo
Senza gravità. Anche la sua
The Street su carta di riso somiglia a tutto fuorché a una strada vera; piuttosto a un ikebana di crisantemi di cenere. Vagamente tridimensionale, seppur livellata su carta di riso, è poi
Mountain: nella sua rarefatta fissità è la versione “zen” del Saint-Victoire di
Cézanne.
La cenere torna racchiusa in plexibox – come souvenir dai deserti – nei paesaggi essenziali di
Maria Elisabetta Novello, autrice già nel 2001 di una prima serie (de)finita
In cenere ed esposta all’ex falegnameria Ospedale dei Battuti di Pordenone. Sotto il plumbeo cielo friulano, per la Galleria 3g di Udine, Novello ha “schedato” nel 2008
16/258 livelli di grigio. Non stupisce se a Elena Forin l’artista descrive la sua ricerca come “
un costante il dialogo con la fragilità del contemporaneo”.
Per comprenderla basta avvicinarsi al miracoloso
Paesaggi, 25 centimetri quadrati di carbone e cenere. L’augurio è che non finisca, pur con teca in ferro e plexiglas, a Trieste a fianco d’una finestra… Forse così la metafora umana sarebbe completa.
Eppure, prima che esser cenere (e cenere ritornare), i corpi sono polmoni, cervello, fegato e cuore, come ricorda
Gaia Scaramella. Le sue calcografie puntellate di spilli alludono ai chakra, ai riti voodoo, alla riflessologia e, nel titolo
Ex-vuoto, ironicamente agli ex-voto. Fra le mani di un’atea, però, gli organi somigliano a “logo-marchi” e acquistano vacuità con la sola aggiunta di ‘u’.