Semplicità e immediatezza sono le cifre stilistiche delle opere di
Ulrich Egger (San Valentino alla Muta, Bolzano, 1959) presentate in galleria, realizzate quasi tutte nel corso del 2008. Il lavoro dell’artista altoatesino, infatti, è caratterizzato da un approccio rigoroso che ha progressivamente evitato i formalismi ma anche i cascami del concettuale, per insistere invece nel progressivo utilizzo dei materiali in senso tridimensionale.
Le foto di palazzi, condomini, scorci urbani sono lontane dai
topoi della rappresentazione architettonica e testimoniano la volontà di una visione non artificiosa né costruita, che segue le leggi della casualità e della naturalezza; quelle con cui l’occhio di un passante può guardare al tessuto visivo cittadino. Stampate su pvc, sono assemblate in maniera di sembrare vere e proprie sculture, grazie all’utilizzo di altri materiali che si sovrappongono alla superficie o -a ben vedere- che si interpongono tra la superficie e lo spettatore.
Ecco così che le grondaie sono fatte realmente di metallo, i tiranti in acciaio e il nylon è quello utilizzato nei cantieri. Ma anche i terrazzini di un anonimo condominio sono sostenuti da ferri che escono dall’opera e le impalcature di un edificio in ristrutturazione sono avvolte da teli trasparenti collocati sulla superficie della foto.
C’è insomma una sostanziale contiguità
materiale e
concettuale tra soggetto rappresentato e materiali edilizi veri e propri, a indicare, forse, come non sia possibile mimesi senza oggetto reale, ma anche che non può esistere rappresentazione senza realtà. In ultima istanza, l’inclinazione di Egger sembra quindi essere di natura teatrale, nella creazione di un sistema in cui coesistono personaggi che vivono la finzione letteraria in un contesto condiviso con oggetti e suppellettili reali.
Il più interessante esito formale di questa concezione trasversale è essenzialmente la rottura con l’aspetto bidimensionale delle opere (che sono
Senza titolo), che in sostanza non si possono considerare foto né sculture vere e proprie, ma che rientrano probabilmente nella categoria delle installazioni, poiché implicano un’osservazione dello spettatore non rigida e fissa, bensì in movimento.
Non resta che camminare casualmente per essere, come a teatro, un po’ ingannati.