La scelta di Studio la Città per questa mostra non è casuale. Dieci anni fa,
Jacob Hashimoto (Greeley, 1973; vive a New York) fu scoperto dalla galleria veronese mentre lavorava a Chicago. L’artista americano, ancora alle prime armi, fu accolto negli atelier dello Studio alla fine degli anni ‘90. Qui la sua vena creativa trovò la propria identità e forza. Così, dopo due lustri, Hashimoto torna a Verona per fare un bilancio della sua carriera.
Già a una prima occhiata emergono la fatica, la precisione e il lungo lavoro artigianale sotteso alle sue opere. Hashimoto lavora con materiali poveri: qualche bastoncino di bambù, fili di nylon, colla e tanta carta, di tutti i tipi e colori. Seppure l’artista si dichiari newyorkese a tutti gli effetti, è inevitabile notare un’influenza orientale nella semplicità e nella meticolosità della sua opera, oltre che nei temi che affronta. Sicuramente, al centro della riflessione è la natura, con i suoi elementi (nuvole, erba, alberi) e soprattutto con i suoi colori.
La carta risulta lo strumento più funzionale a questa riflessione: complesse architetture costituite da centinaia (a volte migliaia) di elementi, ognuno dei quali costituisce un microcosmo naturale. In un modo che non può non ricordare l’arte degli origami o dei dragoni di carta, l’artista tagliuzza minute striscioline di velina colorata, le sovrappone a piccoli aquiloni di carta bianca, li ricopre di colla.
Quindi, attraverso telai, crea composizioni che possono richiamare la forma tradizionale della tela oppure invadere lo spazio con installazioni più complesse, che si rifanno sempre a geometrie naturali.
In occasione della sua quinta mostra a Verona, l’artista ha invaso con le piccole sagome una stanza. Oltre seimila nuvole di carta riempiono un intero ambiente. Metà di esse sono state dipinte a mano con uno stilema che rappresenta il cielo in modo fanciullesco. Tutti questi aquiloni sono organizzati con rigore geometrico, in modo da provocare diversi effetti ottici in base all’angolo d’osservazione. D’altra parte, per il visitatore è davvero difficile muoversi intorno all’installazione, che quasi non lascia spazio per camminare.
In mostra anche tele dipinte ad acrilico. I temi sono chiaramente gli stessi, ma i colori sono più cupi. L’artista non è nuovo all’uso di materiali diversi dalla carta, ma queste opere fanno emergere ancora una volta la tensione irrisolta tra l’artificialità dei materiali e il legame con la natura dei soggetti.