Le opere di Silvia Levenson hanno una particolarità: sono così deliziose esteticamente, quanto inquietanti dal punto di vista semantico. Questo duplice aspetto dei lavori dell’artista nata a Buenos Aires affascina man mano che ci si sofferma a contemplarli proprio in virtù della capacità di comunicazione che li contraddistingue. Le sculture in vetro e in silicone con innesti in ferro o rame come anche i lavori in piombo sapone o cera, formano figure di abiti privi del contenuto corpo, di scarpe dai colori delicati ma con potenzialità offensive elevate (escono punte di rame), di biancheria malconcia esposta in vetrinette da esibire come trofeo di una sopravvivenza sperata. I vestiti-armatura a prima vista lasciano intendere una forte manualità che sottende alla realizzazione, come se l’esigenza e il bisogno di difesa costringa anche il più restio a procurarsi con le proprie mani le risorse per affrontare il pericolo vita; accade in un secondo momento che i messaggi risultino più efficaci: si nota l’assenza della bambina che deve indossare il capo, si individua insomma il forte profumo di malinconia che rimane sospeso proprio come l’abito vuoto. Con l’opera “Bambina spinosa” il filo spinato che va a comporre la corazza-abito è addolcito dalla presenza di un fiore posto al centro della scollatura a precisare che malgrado l’aggressività della confezione, chi indossa questa “griffe” possiede una dolcezza e un’innocenza che solo le condizioni precarie della quotidianità hanno macchiato. Ai piedi, rimangono le scarpine a fare da coordinato, innocenti nella loro trasparenza, in contrasto con la minaccia dell’abito, ma come esso: vuote dei piedi. “Altalena” invece cattura l’attenzione attraverso l’amenità di un rosa shocking, talmente acceso, innocuo e ricco di retaggi nostalgici di un parco giochi non più accessibile da rendere la carica emozionale dell’opera ancor più forte. Sospesa, l’altalena è immobile come se nessuno ci potesse più salire; muove in chi osserva, il desiderio di provare a spingerla, come per cullarsi di quel movimento e condurre la memoria ai ricordi di quando si era piccoli e si giocava spensierati. La drammaticità del seggiolino rosa si concretizza con la presenza di un paio di scarpine sistemate con ordine, proprio ai piedi dell’altalena: l’assenza di un bambino che giochi risulta forte e straniante. Non è solo il proprietario delle scarpe a mancare, è tutto l’universo infantile che non può più dondolarsi, troppo preso a scontrarsi con le avversità della miseria e della delinquenza. A rappresentare in maniera più decisiva la spada di Damocle che ognuno di noi, che ognuno dei bambini, ha sopra la testa è l’opera “Correre ai ripari”: una casetta in vetro con dentro una seggiola di alluminio; sopra di essa, sospeso, un coltello minaccioso. L’artista spera che il bambino che noi immaginiamo seduto in quella sedia e rinchiuso dalle mura di quella casetta-gioco abbia dentro di se la forza per cambiare il destino, per schivare il colpo del coltello.
L’opera “Bambina Cattiva”, un paio di scarpe create con vetro e chiodi di rame, mostra come ci si debba attrezzare per scongiurare i pericoli. Non è la bambina ad essere cattiva, è ciò che vive che la costringe a difendersi e forse anche a provocare per prima. Il disagio di dover mantenere le aspettative di una società sempre più esigente, o il pericoloso bisogno di immedesimarsi nelle situazioni “felici” di film o favole conduce ad uno stato di allerta tale da innescare una aggressività che nemmeno si pensava di possedere. Il lavoro di Silvia Levenson guarda alla pubblicità, alla finzione dove tutto deve essere meraviglioso, carino, sereno. La famiglia gioiosa, i bambini spensierati, sono stereotipi stretti e devianti. La realtà è fatta di altre cose. Anche se non si vuole pensare ai problemi dei bambini abbandonati, alle condizioni orribili dei senza tetto, insomma, anche se non si vuole estendere il messaggio verso questi drammi…l’artista ci chiede di ripensare alla nostra personale infanzia, ma non con l’ovatta cui siamo soliti ammorbidire gli avvenimenti, ma proprio pensando che anche “da piccoli” esistono dei problemi, delle difficoltà, delle incomprensioni. Sono le parole della Levenson a suggerirci la necessità di guardare indietro con più schiettezza:-…mi rifiuto di pensare all’infanzia come “agli anni dorati” da guardare con nostalgia….
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Splendida recensione. Mi pare tu abbia colto nel segno: condivido la lettura delle opere sulle quali sei riuscito a calare anche un gradevole velo di suggestione. Così si promuove l'arte contemporanea, spiegandola semplicemente e raccontandola!
Vi ringrazio molto dell'articolo,e dell'attenzione nei confronti dell'arte contemporanea.
Ho spedito il Vs. articolo anche all'artista.
Antonietta Fioretto
Ringrazio la gallerista per la cortesia rivoltami e non posso che apprezzare l'intervento di E.A.Po. Devo ammettere che le opere presenti in questa galleria offrivano molti spunti di discussione/riflessione. Il merito non è quindi mio, che magari ho "raccontato" la mostra, ma delle opere e dell'artista. Grazie comunque.
Tutto molto bello.
Gallerista che lascia commenti ad articolo essere buona gallerista!