Vien da chiedersi a cosa giovi il tentativo di certa parte della critica di classificare gli artisti della nuova generazione secondo la tecnica (la nuova fotografia, la nuova pittura, e via dicendo) se poi, alla conta dei fatti, il rischio è di confondere le idee invece di schiarirle secondo gli intenti.
Andrea Aquilanti, per esempio, considerato uno degli artisti più interessanti del panorama italiano, interpreta perfettamente lo spirito eclettico della contemporaneità utilizzando media diversi: dal video alla fotografia, al disegno alla pittura. Nella personale alla galleria Estro, il nostro se ne infischia bellamente di quanti hanno già battezzato la morte della pittura per mano della fotografia o dell’arte digitale e si presenta con un video dei suoi ma, soprattutto, con una bella serie di dipinti; e la notizia è che tali opere appaiono perfettamente legittimate proprio dalla produzione foto e video, mostrando che l’originale ricerca dell’artista progredisce tutt’altro che a senso unico. Chi aspettava al varco Aquilanti per valutare le possibilità di “reggere alla distanza”, è servito: non un “ritorno alla pittura” il suo, semmai un “approdo a nuovi lidi”.
La galleria è nella penombra. Un angolo fa da schermo al video di Andrea: le evoluzioni degli storni riprese a telecamera fissa nei cieli autunnali della stazione Termini si susseguono asimmetricamente, scartando dal piano obliquo di una parete al piano verticale dell’altra. Sul pavimento una lastra di perpex trasparente riproduce una pozza d’acqua nel quale si specchiano gli stormi che si aggregano in forme geometriche irregolari, si avvitano su loro stessi, e si disgregano al ritmo di un capriccio di Mozart. Un prisma di luce domina lo spazio attirando i visitatori e rischiando di intrappolarli.
Ma Aquilanti è anche l’artista dei paesaggi assolati, delle pigre camminate nell’aria afosa, delle peregrinazioni tra gli splendori archeologici della Roma imperiale, sotto il sole a picco.
I suoi dipinti colgono di questo immaginario gli aspetti più metafisici. Nell’abbagliante biancheggiare delle tele transitano quasi vibrando sagome scure di gente sconosciuta, animuncole perse, in preda ad un horror vacui che le spinge a tenersi raggruppate nel timore di affogare nella luce. Una pittura minimale quella di Aquilanti, che pure riesce ad essere di forte drammaticità tanto che, a tratti, sembra di sentire riecheggiare i passi delle piazze di De Chirico.
Il mondo sembra esser svanito, inghiottito non dal buio ma dalla luce: resta lo strenuo “tentativo di esistenza” dell’uomo per citare, non a caso, un altro artista, Giovanni Manfredini, le cui opere appaiono quasi una rilettura in chiave moderna delle Anthropometrie di Klein.
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