Dopo la mostra dedicata a Petrarca l’estate scorsa e quella dei bronzetti della collezione Vok dell’autunno, i Musei Civici di Padova mettono in mostra i disegni più rappresentativi della propria collezione, conservata ora nei nuovi ambienti di Palazzo Zuckermann. Le opere della collezione sono piuttosto eterogenee –anche perché spesso frutto di donazioni di privati cittadini– e contano circa tremila fogli che coprono un vasto periodo dal Rinascimento al secolo appena passato. Le opere sono state reinventariate, fotografate e restaurate grazie ad un lavoro di cinque anni che ha permesso anche nuove, prestigiose attribuzioni. Per questa mostra sono stati selezionati circa cento lavori (con soggetti religiosi e mitologici, studi di architettura, scene di genere e paesaggi) focalizzando l’attenzione sugli anni compresi tra Cinque e Settecento.
Uno dei pezzi più interessanti è sicuramente il Nudo virile attribuito a Domenico Tintoretto (1560-1635), figlio del più celebre Jacopo e operante nella bottega del padre, da cui lo differenzia un segno meno scattante ed una propensione alla descrizione anatomica del soggetto. Coevi sono i lavori realizzati con tecniche differenti (carboncino, matita, sanguigna) di Philipp Esengren -di cui è documentata la presenza a Venezia negli anni dal 1594 al 1631- rilegati in un unico grosso volume aperto su una Figura virile di tre quarti, probabilmente S. Giovanni, dal segno corposo e sicuro.
È di area veneta il tardocinquecentesco Studio prospettico (probabilmente un’esercitazione accademica o un lavoro preparatorio) su cui si possono riconoscere le linee di costruzione a matita della prospettiva centrale, che può essere confrontato con il posteriore Studio architettonico a china ascrivibile alla cerchia del Bibiena, dal piglio più sicuro e sintetico. E’ settecentesca invece la prospettiva e la planimetria di Prato della Valle realizzata da Subleyras, omaggio dovuto alla città del Santo.
Ma è il Nudo virile di scorcio realizzato in carboncino gesso e matita, attribuito in via di ipotesi a Louis Dorigny (1654-1742), il protagonista indiscusso dell’esposizione. La figura maschile appoggiata sulla schiena e sugli arti, il senso prospettico slanciato nonché il reticolo a matita, fanno supporre si tratti di uno studio preparatorio per un affresco, probabilmente un soffitto, come varie analogie con opere dell’artista parigino sembrano suggerire. Di notevole spessore anche la Testa di S. Francesco di Paola, carboncino su biacca che gli esperti riconducono a Giambattista Piazzetta (1683-1754), per la tecnica esecutiva e le analogie con altre teste di santi eseguite del maestro veneziano. Più tarda è L’astronomo di Giuseppe Bison (1762-1844), sanguigna leggiadra che coglie lo scienziato nel momento più elevato del pensiero, intento a misurare l’universo con righe e compassi, analoghi a quelli in mostra, settecenteschi, cari e indispensabili strumento di lavoro di generazioni di artisti.
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