Situandosi in quella terra di mezzo che � il passaggio dal giorno alla notte, dalla luce al buio, la penombra, naturale o artificiale che sia, � il regno dell�incertezza, del possibile, del raccoglimento e, pi� banalmente, del mistero. Non a caso i francesi definiscono quel momento del giorno
entre chien et loup, perché la sua essenza giace proprio sull�ambiguit�, sullo sfuggire a ogni definizione certa. Quello che gli anglosassoni chiamano
twilight � la situazione che massimamente rappresenta la trasformazione, il cambiamento, mentre la notte, negazione della luce, � sottrazione, assenza, ma anche spinta per l�immaginazione ad andare oltre i limiti della visione. L�oscurit� altera la percezione delle cose, dei suoni e degli odori, attribuendo loro un significato altro e, anche quando virtuale, relativa o provocata, � il terreno fertile per un�infinit� di stati d�animo che la rende cos� interessante.
Delle molteplici interpretazioni che questo tema, per sua natura sfuggente, ha generato e continua a generare nell�arte sembra essere conscio Daniele De Luigi, che vi si avvicina con coraggio perché, fra tante possibilit�, � senz�altro arduo tracciare una linea curatoriale coerente e, allo stesso tempo, non scontata. Un�ulteriore difficolt� � data dall�attualit� dell�argomento, che rende i confronti inevitabili e immediati (vedasi a tal proposito l�esposizione da poco conclusa al Victoria and Albert Museum di Londra dal titolo
Twilight: Photography in the Magic Hour).
Ciononostante, De Luigi offre una fresca e personale rilettura di questo tema, e sembra preferirne una visione pi� positiva e suggestiva a un�altra pi� tradizionale, che associ il buio al peccato, al male, all�inquietudine. Quest�ultima, in particolare, non � assente nelle ventuno fotografie in mostra, ma scorre tra le opere pi� come una sottile allusione che come vera e propria dominante.
Seguendo accostamenti insoliti, i nove artisti emergenti presentati dialogano facendo emergere inaspettati congruenze, solleticando rinnovati rimandi. Si parte con la Venezia notturna inedita, denudata e sventrata, delle fotografie di
Primoz Bizjak per proseguire lungo i paesaggi in trasformazione dei cantieri dell�alta velocit� di
Andrea Botto; si passa poi dalle atmosfere eleganti, quasi cinematografiche, degli spazi quotidiani di
Marleen Sleeuwits all�attesa latente dei teatri vuoti di
Claudio Gobbi; dagli scenari favolistici e riflessivi di
Flavia Sollner alle finestre di
Giorgio Barrera, occhi spalancati nella notte e sulla vita degli altri; dalle cavit� profonde che aspirano al cielo di
Claudia Pozzoli ai boschi silenziosi e immobili di
Teodoro Lupo, per giungere infine alle illusioni tridimensionali di
Marco Campanini.
Questa mostra, se non pu� forse essere considerata esaustiva per quantit� di opere esposte (l�ampiezza del tema farebbe piuttosto desiderare uno sviluppo di tipo museale), risulta comunque essere uno stimolante contributo e, grazie al suo gallerista, una voce importante in quel silenzio che rappresenta l�imbarazzante mancanza di esposizioni fotografiche a Venezia.