La presenza femminile nei lavori di
Frédéric Léglise (Nantes, 1972) è una dolce ossessione: sono solo le donne, ciascuna con il proprio nome, a essere i soggetti delle sue tele. È come se la varietà del mondo fosse riconducibile a un unico carattere, comprimibile su un unico registro.
Ma non è tanto la complessità a esser indagata, quanto piuttosto l’essenza muliebre in una situazione particolarissima: lo studio dell’artista. Léglise infatti organizza delle sessioni nel proprio luogo di lavoro con amiche o modelle, con le quali intesse una relazione di natura inevitabilmente visiva: lui le fotografa mentre bevono una tazza di caffè, una birra, o fumano una sigaretta, e progressivamente quel senso di pudore, che può a volte far trattenere per sé la propria intimità, se ne va.
Il
soggetto non si sente sotto l’occhio della fotocamera e dell’
osservatore, o quanto meno non avverte la situazione come una costrizione, mentre prende forma un gioco sottilissimo in cui spontaneità ed esibizionismo collimano. Diventa assolutamente naturale spogliarsi e chiacchierare amabilmente distese su divano, ma anche ubriacarsi o scambiarsi teneri baci. Solo successivamente – e dopo esser stato il regista che sa nascondersi – l’artista
dipinge, in solitudine, le sue tele.
“
Continuo a chiedermi se dipingo il nudo per guardare le ragazze o se le porto nel mio atelier per poter dipingere”, racconta l’artista. La pittura diventa così elemento conclusivo di un rito, una sorta di epifania di un processo che rende concreta una relazione che ha già preso forma altrove.
Hanno la pelle rosa le sue donne, dipinte contro uno sfondo candido con pochi elementi ambientali, al massimo qualche suppellettile (una tazza, un vaso di fiori, una birra, un tavolo o un divano), e il chiaroscuro è appena accennato. Benché perfettamente riconoscibili, i lineamenti del volto sono sintetici e delicati, e ricordano il lavoro della coppia
Muntean & Rosenblum e di
Billy Sullivan, ma c’è un atteggiamento di vicinanza al soggetto molto più marcato. C’è un’attrazione erotica appena accennata, un affetto sensuale e una compiaciuta volontà d’inserirsi nelle pieghe e nelle carne di quelle donne, seppure silenziosamente, e quasi in maniera subliminale.
Léglise costruisce il suo lavoro sulla necessità di essere
voyeur e sulla volontà di rendere l’osservatore stesso un uomo che guarda dal buco della serratura, ma serenamente.
Anaïs,
Natalia,
Lola o
Sophie sono così i non semplici titoli ma le donne che è bello guardare, senza imbarazzi, senza sensi di colpe. Fluide, cangianti ed eteree come la sua pittura.