Un televisore in un angolo alto della galleria mostra i voli in partenza e arrivo di un aeroporto. Sulle pareti dei piedistalli illuminati sorreggono oggetti d’uso comune dall’aria molto artigianale: un phon e un aspirapolvere in miniatura, un telefono cellulare. Sul lato contiguo delle lampade dalle forme anomale, un modellino di un carro armato, quello di un satellite, ecc. Tutto l’impianto è alimentato da fili elettrici costretti in una bianca condotta che percorre l’intero perimetro della galleria e che disegna sul muro le forme di un elicottero Apache o di un incontro d’affari tra due uomini.
L’impatto complessivo dell’installazione, che lascia libero lo spazio a terra ed usa i muri come schermo per mettere in scena una grande allegoria, è inquietante; c’è, nell’atmosfera di attesa indotta dal televisore, nella forma gretta e rozza delle piccoli oggetti in miniatura, nelle tenue luminescenza, nell’anomala divagazione della condotta elettrica, una logica incongruenza. Il senso di disagio è instillato progressivamente e provoca la necessità di una spiegazione, chiede una dichiarazione d’intenti ma la contrapposizione tra suggestioni militaresche (l’elicottero da guerra, la lampada in forma di carro armato, i loghi sugli oggetti) ed elettrodomestici od oggetti cult delle società consumistiche occidentali, mette sulla buona strada.
Jan Jakub Kotìk che, nato negli States, ha scelto di vivere a Praga, nella vecchia Europa dalla quale era emigrato il padre, artista lui stesso, indaga le contraddizioni delle logiche dell’economia, scopre gli scheletri nell’armadio delle multinazionali che costruiscono i moderni modelli e stili di vita. Dalla telefonia mobile ai reattori nucleari, dagli elettrodomestici ai componenti di armi e macchine da guerra il passo è breve: sono fette di mercato che le corporation occupano con disinvoltura e parallelamente; Kotìk svela l’inganno ricostruendo modelli di oggetti d’uso comune, simboli della società dei consumi e delle potenti aziende che li producono, con pezzi di recupero di macchine e mezzi militari, svelando la doppia destinazione riservata alla ricerca e alla sperimentazione tecnologica.
Lo fa in modo rigoroso, svelando equilibri sociali contraddittori senza cadere nella retorica, strizzando l’occhio all’arte pop, quando riconduce alla manualità la costruzione di oggetti industriali seriali o quando, altrove, usa fette di pane in cassetta abbrustolito come tessere di suggestivi mosaici di grande dimensioni, ma anche rivendicando un ruolo critico dell’artista nei confronti della contemporaneità e delle tematiche sociali più urgenti.
Nella presentazione, Daniele Perra lascia aperta una domanda sostanziale, che è alla base del lavoro dell’artista: Quali sono le scelte politiche alla base dello sviluppo tecnologico e quali sono soprattutto le conseguenze del binomio benessere tecnologico/benessere sociale?
La mostra è tra le migliori viste nella galleria padovana negli ultimi anni.
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