Sono esposte una cinquantina di opere, per lo più di grandi dimensioni, provenienti dai musei di 10 paesi tra cui si segnalano, per numero di prestiti, Germania, Polonia e Stati Uniti.
Ma Bellotto, esponente di spicco del vedutismo veneziano settecentesco, non poteva fermarsi a Venezia: in linea con una vita trascorsa a vagabondare per le grandi corti europee di mezza Europa, come e più di quanto fecero suoi illustri colleghi (Rosalba Carriera, Federico Bencovich, Pellegrini e Ricci), alcune delle opere di Bellotto salperanno alla volta di Houston dopo il soggiorno in laguna, che durerà fino all’estate, per essere esposte nuovamente, insieme ad un’altra trentina, in una grande esposizione al Museum of Fine Arts.
Questa grande, doppia mostra realizza il progetto di dar conto, per la prima volta, dell’intera produzione pittorica dell’artista. Un’indagine critica di grande respiro, un riordinamento ed una ricapitolazione di uno dei momenti fondamentali del vedutismo veneziano vengono perciò condotti attraverso una doppia esposizione che, in rigido ordino cronologico, testimonia le tappe più significative della vita e dell’arte di Bernardo Bellotto.
Bellotto inaugurò una stagione nuova del vedutismo, caricandolo di inediti accenti lirici ed introspettivi che contribuirono ad anticipare il realismo del XIX secolo e perfino certi aspetti del romanticismo. Il suo stile affascinò nobili e teste coronate dell’epoca che attraverso gli occhi di Bernardo vollero vedere, rappresentate sulla tela, le loro città, i palazzi, le piazze, le campagne, la loro gente, loro stessi. Opere che furono destinate ad ingentilire palazzi e residenze, tra i più belli e sfarzosi del continente.
Pochi misteri rimangono da scoprire intorno a questa grande figura d’artista che fu testimone di fasti e disgrazie della nobiltà settecentesca, di periodi di pace nei quali città e campagne d’Europa si fecero splendide di palazzi, castelli e giardini, ma anche di eventi drammatici, come la guerra dei sette anni, che portarono distruzione e rovina.
Eppure la storiografia moderna ha avuto non poche incertezze fino a poco tempo fa: sarà per quel soprannome di “Canaletto” che a lungo lo fece confondere con l’illustre zio (era figlio della sorella) fino a far dubitare della sua stessa esistenza, sarà per quel suo stile che un tempo apparve troppo simile a quella del suo maestro (Giovan Antonio Canal appunto) e che oggi scopriamo così diverso ed eccezionalmente autonomo nel proporre innovazioni, evoluzioni e variazioni nell’ambito del gusto per il vedutismo.
La mostra veneziana dedicata all’arte di Bellotto è splendida. Ogni opera è corredata di una sintetica didascalia che agevola la lettura del quadro senza appesantirla. Le tele, ben conservate e illuminate splendidamente, rendono tutta la loro forza e incisività. A vederle così, tutte insieme, si riescono a cogliere raffinatezze e sottigliezze tecniche che, sulla qualità dell’arte di Bellotto, fanno ricredere anche il più ostico dei visitatori, che non può fare a meno di sentire evocato il vociare della gente del mercato, di accompagnarsi ai nobili nella passeggiata ai giardini, di godere dello splendore di chiese e palazzi, di scendere dolci crinali verdeggianti o lasciarsi cullare dalla corrente di un fiume che alimenta una schiera di mulini.
Bellotto apprese i trucchi del mestiere dallo zio: dall’uso della camera obscura alle regole della prospettiva, dall’esattezza del disegno alla padronanza dell’uso dei colori nel rendere le screpolature e le imperfezioni di un muro o l’increspatura di un specchio d’acqua o ancora i volumi di una superficie scultorea. Tipici stratagemmi di Canaletto, come l’adozione del reticolato di linee, l’uso di incidere col righello la vernice fresca a punta di pennello per definire le forme degli edifici e la prassi di sovrapporre velature di colore con sfumature leggermente diverse a suggerire gli spessori volumetrici, sono appresi e perfezionati da Bernardo. La sua esattezza nel disegno o la profondità dei suoi spazi dipinti superano la lezione canalettiana, per non parlare dell’uso fatto da Bellotto delle figure umane, mai elementi meramente decorativi ma veri personaggi, in un’accezione completamente sconosciuta al maestro.
I dipinti di Bellotto sono sempre stati letti come un documento formidabile per studiare usi e costumi della vita nel ‘700, tradizioni, topografia e urbanistica delle maggiori città europee, architetture di chiese, palazzi e giardini, tuttavia le ricerche condotte, non ultime quelle realizzate in occasione della mostra, hanno dimostrato che Bellotto seppe abilmente celare non solo libere interpretazioni della realtà storica, ma addirittura misure, distanze, proporzioni e illuminazioni.
Tale fu la sua abilità da riuscire a superare l’illusione dell’impianto prospettico piramidale classico (che presuppongono un unico punto di vista) per giungere a simulare la visione umana bioculare, ivi compresa l’attitudine che consente all’occhio di misurare distanze e dimensioni e correggere deformazioni che la rappresentazione geometrica e matematica non riescono ad evitare.
Bellotto ha come fine primo la riconoscibilità dei soggetti rappresentati, ma a fini estetici e per allinearsi al gusto e alle esigenze della committenza, egli interviene con disinvoltura nella struttura del quadro (composizione, taglio dell’immagine, prospettiva, ecc.), nell’illuminazione, nella scelta delle figure accessorie. Non è raro perciò accorgersi che il pittore abbia scelto di inserire innaturali illuminazioni da nord o abbia esaltato contrasti cromatici e volumetrici ispessendo e dilatando ombre impossibili. Un bello studio dello IUAV di Venezia a cura di Camillo Trevisan, ha recentemente dimostrato con quale abilità i vedutisti veneziani riuscissero a rappresentare scorci e distanze ben difficilmente visibili all’occhio umano, e ciò mediante l’utilizzo di doppie prospettive sovrapposte o addirittura triple prospettive allineate, ricondotte ad un unico punto di vista. Insomma, contrariamente a ciò che può apparire, Bellotto tradisce più spesso di quanto si pensi la verità matematica per salvaguardare il realismo della consuetudine visiva. Tra gli elementi ricorrenti si riconoscono almeno la regola dell’applicazione dei coni nella rappresentazione del paesaggio (teoria che prevede la scomposizione del piano visivo in una sequenza di coni che danno ritmo e scansione all’immagine dipinta) e l’impianto di fonti luminose laterali, esterne al quadro, che consentono all’artista di giocare con i contrasti cromatici e le alternanze di luci ed ombre, a raggiungere un’intensità ed una drammaticità dei soggetti del tutto inedite.
Circa la rappresentazione di figure umane, Bellotto, fin dal primo periodo a Dresda, dimostra l’intenzione di voler superare la tradizione macchiettistica con una maggior caratterizzazione fisionomica, gestuale, con un occhio di riguardo per gli accessori che identificano ruoli, nazionalità e classe dei personaggi che popolano i suoi quadri. L’apice, in questo senso, lo raggiunse durante il periodo viennese e su precisi incoraggiamenti della committenza che voleva rappresentata, in un’atmosfera di fiducia nella continuità, una Vienna eternamente prospera e serena. A queste istanze dei committenti in favore di rappresentazioni autocelebrative, che illustrassero i fasti di città e terre governate secondo principi di saggezza e giustizia, Bellotto non si sottrasse, ma riuscì a celare nei quadri di Dresda l’incombente presentimento di un disastroso evento bellico o, in altri casi, a rappresentare il memento mori nell’inutile affanno industrioso degli uomini nelle piazze.
Nell’ultimo periodo di Varsavia Bernardo rinnovò, per l’ultima volta, la sua pittura. Ad una più ampia gamma coloristica si accompagnò un trattamento dei soggetti ispirato ad un nuovo lirismo, determinato da una raggiunta armonia con la natura. A torto considerati minori, i dipinti di questo periodo, oggi, ripuliti dagli effetti di maldestri restauri antichi condotti con l’impiego di cere che ne avevano isterilito e spento i contrasti cromatici, appaiono come una geniale anticipazione della pittura di paesaggio che tanta fortuna avrebbe avuto di lì a poco.
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Come sempre, complimenti Alfredo! Ottima la citazione ed il link con lo studio di Trevisan.Io volevo muovere qualche critica....ma tutto sommato non ci riesco. ( che sentimentale...pure le voci del mercato...ehehehehehe)