Il prestigio di una collezione non deriva soltanto dal pregio delle opere che la compongono, ma anche dallo sguardo e dal gusto di chi le ha raccolte. La mostra a Palazzo Franchetti offre la possibilitĂ di addentrarsi nella passione di un collezionista. Immune alle mode del momento, ma influenzato dalle letture critiche di Ugo Ojetti ed Enrico SomarĂŠ, il finanziere Mario Taragoni ha raccolto nelle sue stanze una quadreria di indubbio valore, dedicandosi soprattutto alla pittura dei tardi Fattori e Lega, affiancati da altri protagonisti della pittura di macchia come Telemaco Signorini o, tra gli altri, i piĂš giovani Armando Spadini e Antonio Mancini.
Sono riconoscibili le atmosfere care al collezionista. Una pittura di stampo narrativo, attenta alle pause e ai silenzi piuttosto che alle azioni eclatanti, attraversata da un linguaggio cromatico denso e articolato da forti chiaroscuri e sapienti effetti luminosi, che non si nega la sperimentazione.
La mostra si apre con due ampie sezioni monografiche dedicate ai grandi protagonisti della collezione.
Dai quadri di
Giovanni Fattori, che affondano nella solitaria semplicitĂ della vita agreste o nel languore senza battaglie della quotidianitĂ militare, scaturisce una solennitĂ di spirito che sâimprime sulla forza delle pennellate, sui toni dei chiaroscuri e sulla ricchezza cromatica. Negli ultimi suoi lavori, Fattori sembra inseguire un duplice percorso fatto di movimenti e pause. Nel maestoso
Marcatura di torelli in Maremma, la scena concitata viene inondata da una luce zenitale, mentre lâintenso movimento è reso sottraendosi alle leggi della prospettiva. Tra le pause, sâimpone la delicatezza di
La preghiera della sera, che ritrae alle luci del crepuscolo due donne assorte in preghiera in una sosta del loro cammino.
Le stanze successive sono dedicate al probabile artista prediletto da Taragoni,
Silvestro Lega. Negli ultimi quadri della sua produzione prevalgono i ritratti femminili, come se lâaffaticarsi della vista lo costringesse ad avvicinare il soggetto. Le sue donne del Gabbro hanno espressioni brusche e fiere, che possono tingersi di dolcezza o denotare tormento. Ma piĂš dellâanalisi introspettiva, queste opere si rivelano un pretesto per accentuare la libertĂ nella disposizione del colore, come nelle rosee mareggiate di colore che sâinfrangono attorno al volto della
Donna con lo scialle rosa.
Tra gli altri quadri della collezione, da segnalare una tela di
Telemaco Signorini,
Il ghetto di Firenze, la cui affollata costruzione verticale restringe la visione, rendendo la dimensione angusta della costrizione a un luogo, mentre i toni scuri che ritraggono i passanti ne accentuano disagio ed emarginazione, connotandoli come ombre sociali. Lâultima sala è dedicata ad
Antonio Mancini, con tre autoritratti nervosi e agitati, dalle pennellate dense e toni crepuscolari, animate a tratti da colori piĂš accesi.
Chiude la mostra una stanza dedicata allâultima apparizione dei macchiaioli alla Biennale di Venezia, con quattro opere provenienti da Caâ Pesaro, tra cui lo splendido
Il Novembre di Signorini.