Severino Del Bono (Nuvolera, Brescia, 1968) appartiene alla folta e forse inesauribile schiera dei nuovi figurativi. La sua pittura ritrae volti con precisione fotografica, dettagli iperrealisti e un uso sapiente di luci e ombre.
Nella sua ultima personale è in mostra una serie di ritratti femminili animati da un’illuminazione che cade obliqua, conferendo calore e amplificando la teatralità delle pose. Ciascun volto rifiuta di offrire lo sguardo allo spettatore, serrando le palpebre o interponendo bendaggi di corde e stoffa, oppure fantasiosi e inconsueti oggetti. Come nelle sue opere precedenti, Del Bono continua nel tentativo di afferrare l’intimo dei propri personaggi attraverso il realismo della descrizione, a cui sovrappone accessori simbolici.
Negli ultimi lavori, anziché applicare bizzarri strumenti barocchi ai volti, l’artista bresciano si limita a sottrarre i loro occhi allo spettatore, evocando uno sguardo interiore, che scava tra pensieri e ricordi. Sono quadri a cui si accompagna un’insistita ricerca di semplicità, che non lascia uscire quasi nulla dall’ovale del volto, che limita al minimo, ad esempio, l’elaborazione della capigliatura, spesso raccolta o nascosta sotto a cuffie, o la presenza di vestiti o oggetti, a eccezione dei bendaggi più o meno insoliti, sui quali si concentra l’attenzione. I titoli ribadiscono questo rifugiarsi in una semplicità ingenua, riprendendo i nomi di filastrocche e giochi infantili, contribuendo a mantenere un’atmosfera incerta, sospesa tra l’eco dell’infanzia e una leggera ironia, che affiora a mezze labbra come il sorriso di molti di questi ritratti.
L’unica concessione a una più articolata elaborazione è riservata agli sfondi, che lasciano ciascun quadro libero di presentare nuovi motivi decorativi, come arabeschi di carta da parati o varianti più fantasiose, quali lavagne riempite con strani simboli o codici a barre, che conferiscono un carattere più singolare e una maggiore tenuta all’opera.
Se alcuni lavori di Del Bono hanno una loro efficacia e conquistano proprio per la semplicità disarmante, come
Direfarebaciare,
Specchiospecchiodellemiebrame o
Liberaferma, la reiterazione nelle pose dei volti perfetti, nei tagli di luce e nel tipo di realizzazione appare a lungo andare ridondante e porta a un impoverimento di significato. Rimane il sospetto di una ricerca eccessiva dell’ornamento e della bella composizione che, accontentandosi di un’idea troppo evanescente, si svuota da sé attraverso le minime variazioni sugli stessi temi.
E lascia soltanto una pittura accurata e suggestiva, ma ancora troppo acerba e innocua per destare una scintilla di attenzione che le eviti di rimanere a metà strada tra l’arte e il semplice tema d’arredo da dimenticare in salotto, dietro un divano.