Il titolo della mostra ha tutta l’aria di essere stato
scelto come “specchietto per le allodole”. Una sola tela di
Caravaggio, due piccoli dipinti di
Lorenzo
Lotto, altri due
di
Ribera. E
il resto? I soliti pittori “di contorno”? No, stavolta conta anche il resto.
Negli ambienti del più importante museo d’arte antica di
Padova sono esposti, in un dialogo ideale con le collezioni permanenti, una
cinquantina di opere provenienti dalla raccolta costituita durante la lunga
vita di Roberto Longhi, uno degli intellettuali che più hanno influenzato la
storia dell’arte italiana dall’inizio del XX secolo alla sua morte e oltre.
Personaggio di spicco, grande filologo ed esponente della
critica purovisibilista – quella di Bernard Berenson, per intenderci -,
con la
sua
vis polemica e con le sue letture innovative dell’arte dal Trecento al Seicento ha
rivoluzionato la cultura accademica, ha volto la sua attenzione ad artisti fino
ad allora ignorati dalla critica e ha approfondito la ricerca su pittori già di
grande richiamo, primo fra tutti Caravaggio. A questo, in particolare, Longhi
ha dedicato studi che sono diventati imprescindibili per l’interpretazione dei suoi
celebri dipinti.
Le curatrici della mostra hanno attinto i materiali
dall’importante patrimonio conservato alla Fondazione Roberto Longhi che ha
sede presso la Villa Il Tasso di Firenze e che ospita anche la fototeca e la
biblioteca; hanno selezionato i dipinti che si collocano in un ampio arco
cronologico, dai fondi oro del XIII secolo, attraverso esempi bolognesi del
Trecento, fino alle più alte espressioni della pittura dell’Italia
centro-settentrionale e romana del Seicento. Ne è nato un percorso per immagini
che si snoda attraverso le maggiori ricerche longhiane, al di là dell’attuale
superamento di alcune delle sue teorie. Brani dei suoi scritti accompagnano
felicemente i dipinti e ne mettono in luce il significato e i legami che si
instaurano gli uni con gli altri.
Ecco allora un capolettera miniato di
Tommaso da Modena, un frammento di polittico di
Jacobello
del Fiore,
un’opera di
Amico Aspertini e una di
Dosso Dossi,
oli su tela di
Bartolomeo Passerotti,
Carlo Saraceni,
Mattia Preti,
Claude Lorrain e tanti altri. Manca l’Ottocento,
grande assente nella vita e nel lavoro di Longhi.
“Le collezioni dei grandi storici dell’arte spesso
costituiscono una documentazione insostituibile sui loro interessi, sulle loro
relazioni con il mondo del mercato e della produzione artistica; il loro esame
ci permette di conoscere gli aspetti più personali di un tracciato
professionale connesso, tramite vincoli difficilmente districabili,
all’esperienza della vita, al voler sapere e al voler essere”, scrive Banzato in catalogo. La
raccolta longhiana è stata un fondamentale strumento di lavoro, per lo studioso
stesso e per i suoi allievi, e continua a esserlo ancora oggi.
Una piccola e godibilissima mostra antologica quindi, ma
anche un omaggio dovuto di una regione, il Veneto e in particolare l’area
padovana, a un grande uomo a cui la storia dell’arte italiana deve le sue
radici.