Il nucleo espositivo rappresentato dalle sale del Museo Civico agli Eremitani, funge da punto di partenza per un viaggio artistico caratterizzato da un fascino a dir poco entusiasmante. Poche le persone a conoscenza, pochi pure gli stessi padovani, di una rappresentatività del trecento italiano così marcata proprio in quei luoghi di culto presenti nel territorio della Patavium, così carichi di storia e talmente “accessibili”, da aver abituato lo sguardo ai capolavori che contengono.
All’interno di queste prime sale si può godere della vista di opere che mettono a confronto l’arte di Giotto con quella di Guariento, di Semitecolo, Giusto e Altichiero.
Una profusione di opere restaurate, di ricostruzioni architettoniche (mi riferisco all’allestimento curato dall’architetto Martinoni che riproduce la Cappella della Reggia Carrarese, edificio per il quale il Guariento
Non si può certo commentare ogni affresco presente, dato che ognuno di essi meriterebbe interi trattati, ma non posso nemmeno esimermi dal citare quello raffigurante il “bacio di Giuda” e “l’Annunciazione”. Il primo è ancor oggi considerato una innovazione stilistica per via della disposizione dei personaggi, in primis –posti a semicerchio attorno alle due figure principali ad indurre lo sguardo verso il vivo dell’azione – e, in seconda analisi, per via del “profilo” ortogonale di Giuda e del Cristo – intenti, il primo a baciare e quindi a tradire, ed il secondo a cercar di far desistere il traditore per l’ultima volta-… un vero dialogo strutturato sugli sguardi, da parte dei protagonisti dell’affresco…primo esempio in cui si rinuncia alla frontalità della figura dominante, per far vivere il profilo come “topic” della rappresentazione). Il secondo invece, cioè l’affresco dell’ “Annunciazione” è un ottimo esempio della “modernità” del Giotto attraverso il quale si può osservare l’abilità delle geometrie adottate dal maestro (l’abitazione viene letteralmente aperta per agevolarne la visione), come anche la particolarità messa in gioco da Giotto circa l’esigenza di “umanizzare” le figure sacre ritraendole nella quotidianità, intente a compiere normali attività giornaliere. Lasciata la Cappella si prosegue con la visita al Battistero del Duomo (ove si ammireranno gli affreschi di Giusto de’Menabuoi), si continuerà verso la Reggia Carrarese (incontreremo le opere del Guariento), poi via alla Basilica del Santo (Altichiero e nuovamente Giusto de’Menabuoi) , Sala del Capitolo (affreschi di Giotto e della sua Bottega), e si terminerà con la visita dell’oratorio di San Giorgio (di nuovo si apprezzeranno gli affreschi di Altichiero da Zevio). Insomma, la mostra è un itinerante viaggio verso i luoghi magici di una città che se pur soffocata dalla vicina Venezia, messa in secondo piano dagli splendori di Firenze, e sottovalutata da una storica Roma, si dimostra Grande proprio perché (come ribadisce il curatore Vittorio Sgarbi) funge da “capitale del trecento”. Ciò che l’organizzazione dell’evento ha voluto allora mettere in luce (al di là dei capolavori, si capisce) è proprio l’importanza che in quel periodo questa città ha assunto, sapendo richiamare a se (certamente grazie anche ai Francescani, i primi in assoluto a richiedere Giotto) artisti di ogni provenienza, che non si sono certo risparmiati nel voler “regalare” capolavori artistici.
Nelle pagine del catalogo Vittorio Sgarbi (ma lo ha fatto anche nell’intervento dell’inaugurazione) sminuisce l’importanza di Firenze e Roma, insistendo sull’asse Assissi-Rimini-Padova quale cammino del trecento, culminante appunto nella città veneta.
Il “Giudizio Universale” della cappella degli Scrovegni è “La Divina Commedia” di Giotto (in effetti il maestro si è ispirato all’opera Dantesca per ritrarre parte dell’affresco) quindi non appare sbagliato affermare che nel Trecento la vera Firenze è Padova, pittoricamente parlando…dato che nella natia città del maestro la presenza di sue opere è limitata, e che non da molto si mette in discussione pure l’attribuzione di alcuni capolavori in quell’Assisi che sembrava fungere da vero e proprio “cantiere aperto” dell’officina Giotto. La particolarità di questa mostra sta anche nei numeri: a 700 anni di distanza dalla presenza di Giotto a Padova (attivo nel 1300-01) proprio in concomitanza con l’anno giubilare (come oggi), viene formata la nuova lingua pittorica mentre si è a cavallo di un secolo (come in questo caso)…Il Comune di Padova ha curato ogni aspetto della mostra nei minimi termini, offrendo al pubblico una “rigida” visita in stile quasi didattico (forse scolastico dato che effettivamente si “impara” a conoscere il Trecento attraverso questo evento…) affiancata da un più libero e coinvolgente pellegrinaggio ai “Santuari” cittadini; propone quindi un evento di tipo museale, con l’intento di far apprezzare anche i capolavori presso le stanze, sale, cappelle per cui furono pensati.
Che si desidera di più? Solo un consiglio per coloro che vorranno cimentarsi in questa visita: non fatevi spaventare dalla prevista durata della visita (circa 5 ore) , vi garantisco che volano.
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