Ci sono due livelli per analizzare le opere di Chantal Joffe (St. Albert, 1969): contentarsi del facile e superficiale godimento di una pittura agile e sintetica, di una ritrattistica perfino trendy, nella sua sfacciata caratterizzazione espressionista e nelle provocatorie allusioni sensuali; oppure dedicarsi ad approfondire le ragioni della strana vitalità di questa tecnica, dotata di una inusuale vigorìa e di un naturale soffio vitale.
E’ solo nel secondo di questi casi che sarà possibile realmente accorgersi che una prassi in apparenza tanto disinvolta e sciolta, in realtà rivela un’applicazione metodica assolutamente precisa e pignola, mai solamente gestuale; una pennellata, quella di Chantal, che sembra intagliare e modellare le figure, intestardendosi sulle espressioni dei volti, sulla postura delle mani, sul disegno dei tessuti, sulle ombre che si allungano sulla pelle.
Il dettaglio e il primo piano diventa la chiave di lettura dell’opera, mentre lo sfondo e il contesto che circondano la figura diventano elementi accessori da trattare in modo quasi sommario, secondo un approccio più consono allo studio preparatorio e al bozzetto.
Accantonate le figure infantili, Joffe presenta in questa personale una serie di piccoli ritratti femminili su grezze tavole di multistrato.
Colpisce l’indulgere dell’artista nel particolare decorativo (nel motivo floreale di un abito, nella fantasia della stoffa di un divano, nel morbido gesto vezzoso), che però non ha mai meri fini esornativi ma piuttosto contribuisce in modo determinante ad aumentare la pregnante ansietà, l’inquietudine ossessiva delle atmosfere, infine l’irriverente e sfacciata ostentazione delle figure che mettono quasi a disagio lo spettatore. Colti in un attimo di rilassatezza, di distrazione beffarda e di
E’ in questa straordinaria abilità di suggerire storie personali e caratteri attraverso pochi segni calibrati che sta la vera natura di Chantal Joffe. Si può discutere sul suo valore assoluto criticandone una vaga condiscendenza, formale e concettuale, verso quello spirito modaiolo da bad girl che le si attribuisce, si possono perfino indagare certe eccessive concordanze e leggerezze, rispetto ad artiste come Elke Krystufek o Elizabeth Peyton ma, su tutto, questo solo aspetto dev’esserle riconosciuto con decisione: la capacità, attraverso i suoi ritratti, di eccitare la fantasia, di istituire un immediato rapporto empatico tra lo spettatore e i personaggi ritratti che, raccontando se stessi, in fondo rispecchiano quel senso di angoscia diffusa che caratterizza il nostro tempo.
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