Una bella iniziativa che profuma di aria nuova alla Bevilacqua La Masa. Dare l’opportunità espositiva ad alcuni dei molti ragazzi che sono transitati alla Fondazione negli ultimi anni, aldilà del classico appuntamento della collettiva.
Si è scelto un tema, non solo non banale ma particolarmente impegnativo per le implicazioni e le ricadute filosofiche: il tendere del limite all’infinito, il volo degli asintoti verso l’immaterialità dell’uno diviso per zero. Si sono poi divisi gli spazi espositivi tra Palazzetto Tito e la Giudecca (dove ci sono gli studi che la Bevilacqua mette a disposizione degli artisti) non consentendo a tutti la medesima visibilità, poiché quest’ultima è raggiungibile solo con il vaporetto. Ma questo è uno dei casi in cui la qualità dei lavori esposti vale sicuramente il viaggio.
Le scale che portano al piano nobile del palazzo che fu del pittore Ettore Tito
sono ricoperte di scarabocchi di gomma simili a quelli che si fanno sulla carta per provare una penna. È l’opera di Brunno Jahara (Rio de Janeiro, 1979), che ha costruito e fuso fili di plastica che si intrecciano e si rincorrono senza mai appallottolarsi. Nel salone centrale troviamo le ormai classiche sezioni di zolle di Nicola Toffolini (Udine, 1975) rese seriali dalla misura riportata in basso, la pista con delle automobiline elettriche che corrono continuamente sull’otto collocato sul parquet (messo orizzontalmente è il simbolo dell’infinito) dei Progettozero+ e anche un bel trapano che fa girare una dinamo collegata ad una lampadina di Michele Bazzana (S.Vito al Tagliamento, 1979), installazione che gioca sulla contraddizione tra il consumo di 600 watt dell’utensile e la fioca luce della lampadina.
Il giorno dell’inaugurazione molta gente si affolla a partecipare all’azione di Raffaella Crispino (Nola, 1979), con tanto di bussolotti della lotteria e per premio un viaggio per Nizza, partenza immediata la sera stessa dalla stazione di Venezia.
Come dire: l’infinita esperienza del viaggio. Si fanno notare i due video, I do not love NYC di Simone Lalli (Livorno, 1974) e Tibor Fabian (Bassano, 1970) la cui grafica 3D è costruita su algoritmi musicali imprecisi causa la divisione per zero, e Diorama di Kensuke Koike (Giappone, 1980) che fraziona il punto di vista di una foresta in serie di visioni accostate e messe in loop.
Lanciati sulle asintotiche rampe da skaters di Alessandro Ambrosini (Vicenza, 1981) arriviamo alla Giudecca. Ci accoglie l’albero in tensione legato al pozzo del chiostro di Alessandro Laita (Zevio, 1979), e Alberto Tadiello (Montecchio Maggiore, 1983). All’interno del complesso spiccano invece il video di Nikola Uzunovski (Serbia, 1979) costruito sui frattali che mostrano cristalli di ghiaccio e –anche se non pienamente a tema– la raffinatissima installazione di Federico Maddalozzo (S.Vito al Tagliamento, 1978) in cui della luce colorata illumina delle risme di fogli bianchi su cui è stampato il numero pantone del colore che riflettono.
Ma è proprio questo il rischio di un’esposizione con un tema così forte, come sottolineato nella presentazione da Angela Vettese. Poetiche così eterogenee e diversamente articolate soggiacciono ad un tema dato con estrema difficoltà. Era proprio un rischio da affrontare?
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che brutture
Ma no, dai.
Il giochetto dei fogli colorati con la luce è di grande spessore!