Immota e paradossale, affissa sulla parete della galleria, c’è una maschera, grigia e inquietante metafora di dispositivi antigas, catastrofi belliche ed ecologiche. Bulbi oculari tappati, oscurati, fissa il suo sguardo cieco nel vuoto. Ai piedi di questa presenza-assenza, correlata in un fatale legame di relazione/opposizione, luccica Shanghai, l’installazione ambientale site specific di Laura Romero. Come nel gioco cinese, forse usato nell’antichità come strumento divinatorio, è stato lasciato cadere il mazzo di quindici bacchette lunghe da uno a due metri che, sovrapponendosi casualmente, hanno occupato e schermato lo spazio circostante creando una costruzione in bilico. Sono aste di legno ricoperte di tela e poi stratificate con foglie d’oro di differente spessore e tonalità.
“Perché Shanghai?” chiediamo all’artista torinese che da anni vive a Venezia “Perché è la Babilonia per eccellenza, la stella polare d’Oriente, città sul mare con un denso passato, e metropoli del futuro”.
Nei dorati reticoli la finzione ludica si adagia su una realtà che punta l’attenzione sul vuoto (come ribadiscono gli occhi serrati della maschera). L’oro, presente anche in tutti gli altri lavori esposti nella galleria veneziana, è il materiale utilizzato dalla Romero per le sue proprietà di sintesi di luce e colore. Metafora ambigua di spiritualità e insieme di potere e ricchezza materiale, pare raccogliere la feconda eredità di Venezia e Bisanzio fatta di riflessi e purezza ideale, come di sfarzosi apparati decorativi.
Intorno all’installazione rilucono i quadrati di luce della Romero: i suoi lavori partono dalla tela ricoperta di pasta micacea nera brillante che viene man mano ricoperta di foglie d’oro, con un’opera di stratificazione che annulla il buio, il male, il tempo.
Il virtuale si oppone al mondo del reale, svaniscono i riferimenti abituali, sospensione e rarefazione tessono un mondo di incanto che si oppone emblematicamente al disinganno del reale, in un gioco mai finito di travasi di arte e vita. Ogni frammento di foglia d’oro (falso alternato al vero, rosso al giallo, sottile allo spesso) cambia via via la configurazione dell’opera, che giunge a perfezione quando i successivi sprazzi di luce giungono ad accordarsi nella lucentezza dell’insieme.
Il lavoro di Laura Romero è ricerca strutturale e luministica, un tentativo di azzerare il tempo e re-inventare nessi e trame espressive, con un materiale antico e prezioso come l’oro. Che è duttile, adattabile e pregno di assonanze.
myriam zerbi
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