Arrivando in mostra la prima cosa che s’incontra è una scultura di
Paolo Schmidlin che rappresenta
Baby Jane. Alla decadenza ricalcata, esagerata, ingrandita sotto la lente d’ingrandimento del suo stile grottesco si aggiunge una citazione cinematografica su un film culto che è stato una critica alle apparenze e al mondo dello star system. Un’ottima premessa alla mostra.
Perché cos’è il New Pop? Se da un verso più semplicistico lo si può considerare una riproposta di alcuni soggetti e tecniche stilistiche della sorella maggiore Pop Art, dall’altro non si possono non notare alcune differenze chiave che emergono. Il soggetto del New Pop non è più un oggetto da alzare e nobilitare a protagonista del mondo dell’arte.
Anzi, si demistifica l’eccesso d’importanza del mondo televisivo, dello spettacolo, dell’intrattenimento, dell’apparire in genere, ridicolizzandolo, mettendolo al proprio posto in una finzione esagerata.
Ecco, per esempio, una Raffaella Carrà rappresentata da
Cristina Stifanic o principesse disneyane dipinte da
Davide Mancosu. In entrambi i casi, i colori pop, lo sfondo uniforme, l’espressione plasticosa e stereotipata fanno della donna una pura immagine, e del cartoon una caricatura privata delle caratteristiche narrative del personaggio. Di più, esponendole nella stessa sala, viene tracciato forse anche in maniera non voluta un collegamento tra i vari personaggi, facendoli sembrare tutti irreali nella stessa identica maniera.
Il concetto di critica all’apparenza è continuato da
Ivana Falconi, che allestisce in una teca un piccolo mondo fungoso, un po’ come quello dei puffi o dei folletti. Peccato che i funghi in questione siano velenosi e che quindi l’espressione soddisfatta dello gnomo che ne spunta fuori non possa che essere irreale o, quanto meno, poco duratura. Per restare nel tema delle fiabe, divertente e sagace è l’opera di
Teresa Morelli, dove una Biancaneve che in realtà è un trans -anche mal curato- tenta di mordere una mela diabolica, che nel frattempo sfodera un coltello lungo e affilato. Non meno irriverente è la sua famiglia di supereroi americani, in piena regola per tutto tranne che per il fatto di essere afro e brutti, con un Superman con la pancetta e una Wonder Woman dalle gambe corte.
Anche i giocattoli inventati da
Sergio Scalet, i
Podmork, sono certo poco ortodossi e, per quanto indubbiamente simpatici, sembrano fantasmini imprigionati nella plastica, con lo sguardo spaurito, rinchiusi al di fuori del mondo reale. Un mondo che forse, però, abbiamo perso di vista un po’ tutti, come sembra suggerire
Giulio Zanet con i suoi personaggi a metà tra nuova figurazione e vignetta, in bilico tra il vero e il costruito, anche un po’ indecisi da che parte stare.