Più che una didascalica apologia dell’esperienza futurista, movimento alla cui fondazione
Fortunato Depero non partecipa, la mostra dedicata all’artista trentino (Fondo, Trento, 1892 – Rovereto, Trento, 1960) esalta lo spirito avanguardista e curioso del linguaggio figurativo italiano ed europeo della prima metà del XX secolo.
Dagli esordi pittorici prossimi all’espressionismo mitteleuropeo, verso il
Manifesto della ricostruzione futurista dell’universo, firmato nel 1915 con
Balla, attraverso la teorizzazione dei
complessi plastici e la rivalutazione delle arti minori, nel tentativo di accorciare la distanza tra il concetto artistico e la sua realizzazione. Si pensi al laboratorio di arazzi, la
Casa del mago, inaugurato a Rovereto nel 1919; alle scenografie e ai costumi teatrali; alle esperienze nel campo dell’architettura, dell’editoria e della moda (Depero collabora con le più importanti riviste di settore); alla produzione grafico-pubblicitaria ispirata dal soggiorno newyorkese e culminata nel
Manifesto dell’arte pubblicitaria futurista del 1932. Insomma, Depero fu autore versatile, dinamico e centrifugo nella ricerca di nuove forme di comunicazione, “
insofferente ad ogni religione fanatica, incosciente e snobistica del passato”, e proteso “
verso la radiosa magnificenza del futuro”.
L’anima futurista di Depero, acutizzatasi dopo il biennio americano del 1928-30 (molte le chine dedicate alla grande metropoli) e nel dopoguerra, emerge nelle opere raccolte privatamente dall’oculista Giuseppe Fedrizzi, scomparso nel 1979, fin dagli anni ’50 medico e amico dell’artista. La collezione si forma nel tempo, arrivando a ricoprire con circa 95 opere (solo alcune già esposte in occasione di mostre tematiche) oltre quarant’anni, dal 1914 al 1956, di esperienza artistica.
Una collezione che trasmette bene l’impegno febbrile che porta Depero, nonostante l’ostracismo di una critica restia a dissociare esperienza futurista e fascismo, indistintamente verso la pittura e le arti applicate, per ricreare utopicamente, attraverso le proprie creazioni, tutto l’universo.
Uno stile inconfondibile, geometrico e grafico, animato da manichini-automi spigolosi (
SoliditĂ e trasparenze,
Gilbert Clavel (Prospettiva sotterranea),
Corsa ad angolo retto,
Mandarino cinese) mutuati dalla produzione plastica, nei lavori a olio e a tempera (
Marinaio ubriaco,
Notturno alpestre,
Bacio a Venezia, il
Nitrito in velocità del 1922, in cui è evidente il rimando alla poetica boccioniana), negli abbozzi di scenografie o architetture a china, a matita, a inchiostro, a biacca, a carboncino (
Studi per “Paese di Tarantelle”,
Villaggio inventato, gli studi per interni).
E, ancora, uno stile che si riconosce nelle tarsie di stoffa colorata (
Cavalli fiammanti,
Ritmi veneziani), nelle grafiche industriali (
Biscotti Unica Torino,
Acqua San Pellegrino,
Ditta Bestetti,
Rotativa Heidelberg,
Campari) o di costume (per le riviste “Movie Makers” e “Vogue”), nelle pagine del
libro bullonato (il libro-oggetto, pubblicato nel 1927, prodotto di scrittura-sperimentale). I supporti sono la carta, il cartone, raramente la tela, il cui utilizzo avrebbe invece implicato un rapporto piĂą statico con la realtĂ .
Le opere entreranno, finita l’esposizione, nella collezione di Ca’ Pesaro, grazie a un deposito a lungo termine concesso dalla famiglia Fedrizzi.