Pastelli su carta che ritraggono il dolore di un paese perennemente in guerra. E’ Palestina Occupata, la mostra di Carel Moiseiwitsch alla Galleria Nuova Icona di Venezia, che con questo evento conclude la rassegna by//pass, dedicata delle ‘terre di tensione’ nel mondo, in particolar modo alle nuove e vecchie realtà mediorientali agitate dalla crisi irachena.
Quelle di Carel Moiseiwitsch, esposte per la prima volta in Europa, sono opere che parlano di violenza, di morte, di paura, lavori che nascono lungo le strade e raccontano il terrore della distruzione e dei gratuiti orrori dell’Intifada. Una realtà vissuta direttamente dall’artista, che nel 2003 era attivista per i diritti umani dell’International Rights Movement, nei giorni dell’uccisione di Rachel Corrie.
Nelle opere esposte trova sfogo una concentrata osservazione della realtà mediorientale, trasportata sulla carta con la fredda lucidità di chi vuole dare enfasi e forza alle informazioni, per scuotere le coscienze e rivendicare il diritto alla giustizia.
Impossibile non ricordare alcune opere di altri grandi artisti: Honoré Daumier, nella sua profonda carica espressiva di denuncia sociale e di costume, Kate Kollwitz, nel suo sentito pacifismo di madre, i fratelli Jake e Dinos Chapman, autori di immagini di cruda atrocità. Impossibile non paragonare quel Jaysh al raccapricciante Los Fusilamientos di Goya: perché, al di là del tempo, il dolore è lo stesso, la guerra non cambia, cancella la pietà dai volti umani e ne disegna il terrore della morte.
Donne spaventate che si coprono il volto con un velo, alberi sradicati, paesaggi distrutti dalla prepotenza dei carri da guerra e dei bulldozer, strade percorse da ambulanze piene di cadaveri e gente ferita: quasi come un fotoreporter, Carel Moiseiwitsch raccoglie il dolore della gente comune per fare della sua arte un mezzo di denuncia.
Ma la pittura non si ferma alla fredda realtà dei fatti perché l’arte ha il potere di scavare nel significato delle cose e farsi portavoce di valori diversi. Ecco che allora le opere della pittrice diventano anche un segno di speranza e di pace nei colori vivi della serie Rafah Quartet, immagini disegnate con i contorni naif dell’istinto e della spontaneità. Grandi campiture di blu intensi, piccoli scorci di rossi accesi, gialli luminosi che escono violenti dalle opere: per rivendicare giustizia e restituire i diritti umani a un popolo che reclama la propria libertà.
francesca ambroso
mostra visitata il 21 gennaio 2005
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