Diceva Peggy Guggehneim che a Venezia si può indossare quasi tutto senza essere ridicoli.
Il percorso di questa mostra si snoda così tra abiti storici, magnificenze ed esibizione del potere nella Venezia del passato, in quello che gli storici del costume chiamano sciupìo vistoso, cioè la manifesta abbondanza di tessuti e ricchezze con cui i nobili e i potenti dichiaravano il loro status sociale.
Dalle stoffe in velluto altobasso o allucciolato, il cui porpora denso e sanguigno era un vanto dei tessitori della Repubblica, alla gamma dei colori delle toghe dei vari magistrati, alle altissime calzature dette calcagnini indossate da dame e cortigiane che sfidavano le severe leggi suntuarie della città: il tema dell’esposizione è l’eleganza e la manifestazione del lusso, quale strumento di affermazione di sé in un contesto storico e politico particolarissimo quale fu la Serenissima.
Segni esteriori del potere potevano così essere il corno dogale, una sorta di preziosissimo berretto frigio indossato solo dal capo di stato sotto cui era posto il camauro, una cuffietta di batista di lino (quello in mostra è appartenuto all’ultimo doge, Ludovico Manin), o le stole di velluto portate sulle tonache dai
Oltre a incisioni cinquecentesche che documentano il fasto e il significato dei costumi dogali, paliotti, piviali, tessuti sontuosi, di proprietà del museo sono anche una serie di abiti settecenteschi che ricreano l’atmosfera dei dipinti di Pietro Longhi. Dalle vesti femminili di raffinata leggiadria, esemplari dei famosi andrienne venuti di moda dalla Francia, alla marsina e camiciola del conte Mocenigo, alle borsine ricamate, scarpini da ballo o calzature maschili con fibbie fino ai rivoluzionari abiti da bambino a tutina. Così come prevedevano i dettami settecenteschi dopo le teorizzazioni di Rousseau sulla naturalezza.
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stefania portinari
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