La violenza del mondo. Sulle donne, sulla carne. Sul loro corpo e sulla loro libertà. Dàm vuol dire eternità in arabo e sangue in ebraico. E in questa mostra Maria Assunta Karini sembra condensare in un’unica parola un’endiadi inevitabilmente dolorosa, portata a raccontare una realtà girando e rigirando il coltello su una ferita che già sanguina a fiotti.
When Blood With Blood Is Paid è un progetto crudo, femminista, violento nelle immagini, perchè attacca e ribalta il ruolo di vittima-carnefice. È la tragedia delle donne irachene, cecene, iraniane ed afghane, intellettuali, poetesse, medici, costrette a lottare per sfondare il mondo dell’ignoranza, contro una realtà che le isola, le cancella, le castra in nome di tradizioni religiose retrive, opprimenti e violente. È il loro sangue, quello versato dal proprio corpo, mutilato e torturato e sfregiato, a chiedere e volere che il dolore sia pagato con altro sangue, l’unico fio possibile. Ecco quindi un video in cui piedi di donna, alcuni con unghie orgogliosamente dipinte, camminano e ballano sopra un mare insanguinato di cuori, in una danza visceralmente toccante, maledettamente macabra, eppure con un esito ipnotico sullo spettatore, complice anch’egli di un rito che alla fine diventa purificazione. La musica è coinvolgente, le immagini (intramezzato dai flash con i nomi di molte di quelle donne che lottano) scorrono, contro il nero profondo dello sfondo, sulla danza piedi rossi di sangue che sembrano quasi incendiarsi nella ieratica ripetitività, sottolineata dal poema di Meena Keshwar Kamal Mai più tornerò sui miei passi. Di grande impatto visivo anche i lightbox in galleria con alcuni fotogrammi del video elaborati digitalmente.
Nel video 7 Inches due figure maschili vengono attratte nel bosco da un flebile lamento finché giungono in una radura.
Qui, crocefisso come il Gesù della tradizione cristiana, trovano un maiale dal ventre sgozzato che implora e chiede aiuto. È già evidente il tema che la Karini vuol toccare, senza usare scorciatoie o allusioni, e con abilità tiene sotto controllo le variabili di religione e moralità facendole cortocircuitare senza sbavature. È infatti così forte e dolorosa la voce che i due uomini, contravvenendo al tabù islamico nei confronti del maiale (sono evidentemente vestiti da arabi), si inginocchiano in una azione quasi catartica, umana più che religiosa, a pregare per lui. O, in fondo, per il dolore che senza distinzione tocca tutti.
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mostra visitata il 25 marzo 2006
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Puo essere anche interessante il lavoro di questa artista, ma
pecato che i telefoni della galleria non siano funzionanti (risponde un' abitazione) e gli e-mail tornano indietro perche la casella e piena.
La scarza professionalità ti fa passare la voglia.