Sapere di non sapere. Paragonare l’ignoto al noto, in un processo di ricerca globale, è certamente il metodo necessario per confrontarsi con una mostra come
India Crossing. Sei artisti provenienti dalla lontana
mother India espongono i loro esotici ed esoterici lavori come porte mediatrici di diversi livelli culturali, stuzzicando i sentimenti e le sensazioni di nuovo e curioso delle nostre menti, ma soprattutto dei nostri indagatori sguardi “occidentali”.
Piuttosto che una sorta di riunione artistica di personalità, la collettiva si presenta come il frutto di una vera e propria analisi concettuale, come dimostrano gli artisti e i pensieri in mostra:
Nataraj Sharma, lo spazio;
Shilpa Gupta, lo stereotipo consumista;
Ashim Purkayashta, l’immagine e il mondo; Hema Upadhiyay, la condizione umana e la storia; Ryas Komu, il mito;
Valsan Koorma Tolleri, la materia e la forma. Concetti apparentemente comuni, ma obbligatoriamente vissuti e interpretati in maniera differente, influenzati da una società in caotica evoluzione, legati a una tradizione di pesante rilevanza politica e religiosa, così da sempre in un Paese come l’India.
Ecco allora che davanti a opere come quelle di
Hema Upadhiyay ci raffrontiamo con una realtà, quella delle grandi metropoli indiane come Mumbai, semplicemente con un estraneo sguardo da turista, in uno sforzo intellettivo altamente complesso. Operazioni che concernono continui cambiamenti culturali, legati al caos urbano come in
Killing Site, dove la piccola e confusionaria riproduzione in lamiera di uno spaccato urbano si staglia con l’elegante strutturazione del dipinto tradizionale indiano.
Varianti di linguaggio uniti dal mixing, non solo dei concetti conosciuti-non conosciuti, ma anche dei materiali. Il legno, primo fra tutti, nell’opera di
Ryas Komu, intitolata
Oils Well, Let’s play, in cui un mostruoso idolo semovente dai tratti sperimentali, tecnologici e moderni sembra voler nascondere la fragilità della sua sostanza. Una materia, quella del legno, che rimanda ad atmosfere da antico rituale, come suggerisce il carro a fianco della scultura, in un ossimoro sostanziale tra rispetto del passato ed evoluzione futura.
Così, in un viaggio di scoperta, riscopriamo noi stessi. Non più spinti dalla nostra sfera del conosciuto o del riconoscibile, ma in rapporto a un’arte spazialmente e temporalmente distante. Una dolce iniezione del nuovo, oggi più che mai necessaria.