Nel 1986 il Whitney Museum di New York lo celebrava con una grande retrospettiva. Successivamente, il Museo Saatchi di Londra ed il museo di Bonn lo hanno consacrato anche presso il pubblico europeo.
Figurazione e mondo pop sono i due poli della dialettica di Alex Katz, cinema e fotografia le sue grandi fonti d’ispirazione. Dalla metà degli anni ’50 in poi le fotografie sono state il punto di partenza per i suoi grandi dipinti, che riproducevano sulla tela volti umani insolitamenti privi di elementi peculiari. E se il ritratto poteva considerarsi un genere ormai morto, Katz si proponeva di infondergli nuova vitalità.
L’occhio dell’artista spazia da ritratti impersonali ad attente e minuziose descrizioni dei soggetti presi in esame. Se da una parte si vuole giungere ad un’astrazione del soggetto, dall’altra si percepisce una precisa volontà di voler contestualizzare. Il ritratto costituisce per Katz non solo una mera indagine psico-emotiva ma si propone anche, e soprattutto, di inserire in un contesto culturale e sociale colui che viene descritto.
Katz parte sempre dal microcosmo a lui più vicino: la famiglia, il mondo della critica ed i suoi amici sono i principali soggetti ritratti ed analizzati.
I grandi ritratti funzionano da telecamere che riescono a riproporrre la persona all’interno di un set socio-culturale ben definito. I personaggi appaiono muti e silenti, ma senza trasformarsi in semplici caricature svuotate di un’indagine psicologica. I corpi incombono nella loro imponente presenza, perfettamente sintetizzati attraverso forma e colore.
Katz riesce a diluire profondità ed apparenza, forma e contenuto, eternità ed immediatezza. In modo ieratico e immanente il suo mondo si manifesta con grazia pregnante e luce controllata.
Warhol prima di tutti trasformò l’immagine in icona, con un pressante e profondo senso di morte e distruzione. Katz rifugge questa soluzione e preferisce immergere i suoi quadri in un’accecante luce metallica. Forse presagio di una futura epifania.
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