A due anni di distanza dalla mostra eponima, che nel 2007
vide per la prima volta
Hermann Nitsch (Vienna, 1938; vive a
Prinzendorf) da Boxart, il padre dell’Azionismo viennese torna a Verona
con un’altra esposizione, ancora curata da Danilo Eccher.
Da cinquant’anni, l’immagine internazionale di Nitsch
mistagogo superstar è invariata. È il sacerdote di un culto dionisiaco
misterico che, con il corpo e col suo fluido ipervitale, compone un’ode
istintiva alla vita, recuperando a essa le componenti archetipiche capaci
ancora di tenere a sé la morte
. L’OMT (1960), come l’artaudiano
Teatro della crudeltà (1958), è una macchina panica
dalla vocazione disvelativa, che forza il blocco dei sensi compressi.
Ora, questa mostra propone un’immagine diversa. Ed era
tempo. Il sangue, veicolo d’incarnazione spirituale, non dilaga. Intride alcune
Tuniche d’azione.
Ma poi il percorso si snoda
dietro all’altare, da dove emergono aspetti
differenti. La crudeltà, intesa come determinazione vitale, sforzo di
coaugulazione pre-psichica, è intonsa, ma si incarna in forme inedite, più
intime.
In realtà, Nitsch non è mai stato un distruttore. Sin
dall’inizio dà forma dinamica all’emotività. Realizza spazi, scene, e vi
percuote le carni. Ovvero: edifica e canta. Q
uest’attitudine costruttiva emerge
compiutamente nella serie dei
Disegni d’architettura, realizzati nel 2009. Attraverso
l’iterazione della linea, Nitsch sviluppa un disegno denso, pieno, dove il
tratto grafico ribadito richiama talune esornatività secessioniste. Gli schizzi
arabescati sono i progetti dei luoghi in cui si compirà l’azione di sei giorni.
La geometria approssimativa delle
pullulating
architecture crea
un sottile reticolo venoso. In questi condotti, che sboccano in camere simili a
organi umani, corpo e architettura coincidono. Ritrovano la matrice comune in
un sottosuolo in cui terra e carne, tellurico e fisiologico sono sinonimi. E,
proprio come nella carneficina eviscerativa delle
Aktionen, anche questo prolasso
costruttivo diviene una ricorporalizzazione critica degli spazi dell’uomo.
Allo stesso modo, le due grandi serigrafie su relitto
Caduta
di Gerusalemme e
Deposizione
nel sepolcro sono
edifici grafici in cui le anatomie snudate e l’urbanistica fantastica, generate
dalla linea infinita, parlano con tono basso e persistente. Un mantra
silenzioso, ripetuto ossessivamente, molto diverso dall’urto violento delle
antiche macellazioni espressioniste.
È quest’attenzione minuta a processo e struttura
l’elemento fondativo che sta dietro all’altare nitschiano. La ritroviamo nella
terza parte della mostra. Nella cripta, assieme ad alcune composizioni
classiche realizzate con pianete e stole sanguinate di schizzi vermigli, ecco
gli spartiti musicali della
IX Sinfonia. Anche qui i segni, accuratamente organizzati, si
distendono, elevando l’ennesimo edificio all’interno di quel vasto territorio
eterogeneo, fatto di spazio, dramma, gesto reale e metafora poetica, che
costituisce l’umida cosmologia viscerale di Nitsch. La sua
opera totale.