Ai tavolini dello scomparso
Caffè
Michelangiolo di Firenze, animata dalla carismatica figura di
Diego Martelli (che con
Adriano
Cecioni sarà il teorico del gruppo), si riunisce tra il 1855 il 1856, una nutrita schiera
di artisti. Ciò che li accomunava era una ricerca pittorica orientata alla
riproduzione del vero, contrapposta alle divagazioni sublimi della cultura
romantica. Il pittore, cui è riservato il compito di ritrarre il mondo, non
vede con il cuore e non
dipinge con il sentimento:
l’occhio
registra fedele. Quello che coglie (filtrando inizialmente lo sguardo
attraverso uno specchio scuro, pratica del
ton gris importata dalla
Francia dai pittori
De Tivoli e
Altamura) è un insieme di
chiazze di colore accostate, sfumate da chiaroscuri dettati non più da moti
dell’animo, ma da riscontrabili effetti luministici presenti in natura. Nasceva
così la pittura di
macchia, intuizione italica di una cultura del
dipingere che di lì a poco sarebbe sfociata nell’Impressionismo e quindi in
linguaggio moderno.
Sostanziali
le differenze tra i pittori che aderiscono al gruppo e che ne
contraddistinguono le rispettive produzioni: i Macchiaioli sono un movimento
eterogeneo, incline alla sperimentazione e orientato alla ricerca. Tra le
personalità più influenti, oltre all’intimo cantore della Maremma toscana
Giovanni
Fattori, spicca quella cosmopolita di
Telemaco Signorini (Firenze, 1835-1901),
artista perfettamente inserito nel contesto di scambi linguistici e artistici
europei che ha in Parigi il centro irradiante di novità sostanziali.
La
caratura internazionale di Signorini, l’abilità nell’aprirsi a un mercato
estero di collezionisti senza assoggettarsi ad esso, è bene evidenziata nella
personale a lui dedicata a Palazzo Zabarella, con la quale la Fondazione Bano
inaugura la stagione espositiva delle grandi mostre. Le oltre cento opere
giunte a Padova per l’occasione, selezionate dai maggiori studiosi di pittura
italiana del XIX secolo, provengono da collezioni private e da prestiti
eccellenti (il Museé d’Orsay e l’Hermitage, fra i tanti) e alternano ai
capolavori del maestro opere di protagonisti del secondo Ottocento, figure
fondamentali per il suo percorso formativo verso una dimensione pittorica più
consapevole:
Degas (
L’Absinthe)
, Tissot, Stevens, Corot, Courbet,
Rousseau, il gruppo degli Impressionisti parigini,
John Singer Sargent a Londra (dove si reca
più volte).
Sviluppata
lungo tredici aree tematiche, la mostra ne rilegge la fortuna artistica
attraverso lo studio dei molti soggetti che avrebbe poi, nel tempo e
ciclicamente, affrontato: dalle vedute di borghi e città (gli scorci
fiorentini, veneziani e scozzesi, le ville toscane, Settignano, Riomaggiore,
Pietramala) alle pitture
en plein air (la campagna senese, il torrente
Affrico, le rive dell’Arno, visioni prossime ad un paesaggismo sentimentale),
dai molti ritratti di genere agli omaggi alla scuola di Barbizon (i pascoli, i
boschi, le corti), dalla pittura sociale d’ispirazione
courbettiana (i bellissimi
L’Alzaia e
La sala delle
agitate)
ai raffinati interni (
Aspettando).
Nulla sfugge alla fame artistica del
pittore, che instancabile viaggia e annota, diventando testimone involontario
di una società che proprio mentre gettava le basi del codice pittorico
novecentesco, in maniera impercettibile, andava sfiorendo.