Concordi la curatrice Lalli Munari, il critico Luca Beatrice e soprattutto l’artista stesso in merito all’inutilità produttiva di usare le parole (troppe) per descrivere una pittura che è fatta per essere solo sé stessa; un sospiro dagli esercizi letterari, per lasciare campo libero al colore, non perché privo di un valore trascendente ma perché questo valore è innanzitutto pittorico: significa luce nel colore e colore nella luce.
Claudio Olivieri (Roma, 1934), infatti, definisce il colore il “
quinto elemento”, a testimonianza dell’importanza vitale che gli attribuisce, elemento fondamentale per generare e mantenere la vita.
Associato alla corrente italiana di Pittura Pittura sviluppatasi all’inizio degli anni ’70, questa si distingueva per un minimalismo che annullava l’oggetto, mostrando la funzione primaria del dipingere, analizzando il principio del lavoro che è la stesura piatta della materia in superfici non descrittive, quasi monocrome, tendenti a colori neutri. Un polo “freddo”, che voleva essere reazione all’espressività dell’informale e all’iconografia del pop.
Nella sua ricerca, Olivieri è uscito dal concettualismo del puro monocromo tendenzialmente scuro per recuperare la visione, attraverso un colore emotivo caldo e vivace o freddo e meditativo.
Elabora una serie composta da uno sfondo scuro su cui s’innalzano al centro, come lingue di vapore colorato, potenti fiamme di luce verticale. Creando una peculiare fusione tra la sensualità morbida della forma-colore e un lirismo tutto psichico, interiore: “
L’invisibile doppia il visibile e grazie al visibile noi siamo ciechi”; “
chiedersi a cosa somiglia un quadro è come non guardarlo”, suggerisce lo stesso Olivieri in catalogo.
La rassegna inizia con opere dei primi anni ‘70, che oltre al più vivace
Blu giallo (1971) si qualificano per il peso scuro quasi totale della superficie, come in
Tautocromo (1972) e in
Phtalored (1975). Negli anni ’80 le tonalità si riappropriano dello spazio sotto forma di velature su campo scuro, nella gradazioni di blu di
Arcaico (1985) fino a
Cometa spenta (1992), in cui l’astrazione diventa emozionante, sul filo di una potente diagonale che squarcia la neutralità del bianco.
Da
Gilgamesh (2000) -grande olio su tela, sintesi bicroma di bianco e nero di forte suggestione- ai giorni nostri, Olivieri sviluppa la passione per la cromìa nel rapporto luce-colore, illuminando i toni internamente o accostandoli al bianco, facendone una porzione di spettro solare:
Rosso ancora (2005) e
Al principio (2007).
Corporea ma senza peso, illimitata ma simmetrica, è indubbiamente una pittura non da descrivere ma da godere nel silenzio, da assorbire lentamente, lasciandosi smarrire nell’esperienza sensitiva dell’accordo cromatico che domina l’essenzialità della tela, sfumando adagio.