Un viaggio verso nuove geografie e luoghi mentali. iCon, la collettiva indiana alla 51° Biennale di Venezia, è soprattutto questo. L’io-narrante di una cultura millenaria che si riscopre ponte tra mondi passati e presenti, avvicinati dall’esperienza dell’arte. Gli artisti selezionati da Peter Nagy, Julie Evans e Gordon Knox muovono da tradizione figurative personali per ricercare dialoghi nel segno della contemporaneità. I linguaggi canonizzati ai quali spesso si riconduce l’espressione visuale indiana, le citazioni manieristiche e iper-decorative o le digressioni verso un sentire panteistico in cui tutto, bene e male, appare mistico e salvifico, cedono il posto agli intimismi di soluzioni formali leggere ed eleganti, che nel mito (e nei suoi rituali evocativi) individuano momenti di rilettura e di riflessione. Più percorsi linguistici convivono armonici, leggibili metafore di un popolo arricchito dalle compenetrazioni di etnie, idiomi, spiritualità.
Atul Dodiya (1959) propone Stammer in the Shade, nove tele multimateriche -ispirate al gesto pittorico di Enzo Cucchi, in omaggio all’italianità della Biennale- di fronte alle quali ne posiziona altrettante, sorrette da strutture metalliche, sulle quali trovano posto solo i crediti del quadro (titolo, materiali, collocazione). L’opera nascosta rivive così attraverso aprioristici attestati di presenza, divenendo recuperabile in virtù di nuovi stimoli fruitivi, non più passivamente frontali ma consapevoli, anche se prospetticamente infelici. Anita Dube (1958), segna lo spazio con Serenissima, Journey on a Red Sea, incidendo sulla parete un pensiero di Mireille Kassar sottolineato dalla presenza di centinaia di occhi iper-scrutanti mutuati dalla tradizione Hindu, vero oggetto-feticcio dell’artista. Crossing:Two Stories di Ranbir Kaleka (1953) comprende quattro filmati proiettati su pannelli dipinti ad acrilico e narra i diversi aspetti di una nazione in cui arte, persone, religioni si intersecano fino a determinare una forte identità culturale.
Nataraj Sharma (1958), presenta Departure (sei pitture, olio su tela), visioni aeree di un mondo sottostante uniforme, le cui differenze sembrano annullarsi in banchi di nubi ed in macchie di colore, divenendo pura astrazione. Di fronte ai quadri Air Show, una grande struttura modulare in ferro battuto accoglie modellini di aggressivi aerei da combattimento, impegnati in azzardate acrobazie militari contrapposti a pacifici elicotteri.
iCon inizia e termina con due video installazioni: apre con A Measure of Anacoustic Reason, poetica riflessione sulle difficoltà della comunicazione linguistica e della comprensione, presentata da i tre artisti del Raqs Media Collective (già conosciuti per la partecipazione a Documenta XI e alla 50° Biennale di Venezia); e chiude con la teatrale Mother India: Transaction in the Construction of Pain. Si tratta di cinque video realizzati da Nalini Malani (1946), proiettati su pareti e su due superfici di sale, che nelle parole del sociologo Veena Das individuano momenti di analisi sociale e politica (immagini d’archivio della divisione dell’India del 1947 e del recente genocidio del Gujarat).
In collaborazione con Lucas Artists Programs e con Nuova Icona, iCon riconferma l’interesse dell’associazione culturale veneziana per i circuiti artistici non compresi nelle rotte canoniche dell’arte, in grado comunque, partendo proprio dalle rispettive peculiarità, di creare valore aggiunto ad una realtà globale che guarda veramente sempre un po’ più lontano.
gaetano salerno
mostra visitata il 23 giugno 2005
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