Con le sedici opere di scuola futurista della collezione Mattioli, alle quali si aggiungono per l’occasione prestiti pubblici e privati (un totale di 35 fra dipinti, disegni, sculture e xilografie), il museo veneziano si unisce ai festeggiamenti per il centenario della pubblicazione del
Manifesto e per la nascita dell’avanguardia più originale del primo Novecento.
Ufficializzato il 20 febbraio 1909 (anche se la prima uscita risale al 5 febbraio, sulla “Gazzetta dell’Emilia”) dalle parole del
jeune poète italienFilippo Tommaso Marinetti, suo massimo teorico, il Futurismo interpreta la spinta modernista del nuovo secolo, il progresso che va declinandosi in velocità, vorticismo, interventismo, patriottismo, di lì a poco guerra.
Il pensiero di Marinetti prima e poi dei cinque firmatari del primo manifesto della pittura l’anno successivo (Balla, Boccioni, Carrà, Russolo, Severini, tutti rappresentati in mostra) è la cartina al tornasole del nuovo sentire che avanza, “
sgombrato da mummie” con azioni programmatiche e tese a seppellire ogni anacronismo “
nelle più profonde viscere della terra”. Abili manipolatori mediatici, influenzano e si lasciano influenzare dalle linee centrifughe della storia, rianimando la scena artistica italiana con intuizioni, gesti e linguaggi ai quali gli altri “ismi” del secolo –
cubismo e dadaismo in testa – non potranno non rivolgersi per consacrarsi al pubblico di massa.
La mostra, cronologicamente ben distribuita, evidenzia l’aspetto corale e cosmopolita dell’esperienza artistica. Due sezioni distinte ma complementari: un proemio al nuovo culto del “futuro”, omaggio a un mondo definitivamente in movimento (“
Tutto muove, tutto corre, tutto volge rapido”), attraverso la pennellata divisionista della
Campagna padovana di
Umberto Boccioni (1903, dopo l’incontro con Balla), il
Nudo (studio).
Giovane triste in treno di
Marcel Duchamp (1911) fonde in sé sperimentazioni cubiste e futuriste (come il più conosciuto
Nudo che scende una scala); e poi il ciclista ritto sui pedali per la volata finale di
Al Velodromo di
Jean Metzinger (1912), le piccole xilografie di
Edward Wadsworth (
Cantanti di strada e
Città dall’alto, del 1914-16), testimonianze di una realtà artistica inglese piacevolmente incline alla poetica marinettiana.
Nella seconda sala, una serie di opere accorpate per autore (ai cinque vengono affiancati
Ottone Rosai,
Mario Sironi e
Ardengo Soffici, futuro direttore di “Lacerba”). Fra tutte,
Mercurio transita davanti al sole e
Profondità dinamiche di
Balla, lo studio per
La città che sale,
Dinamismo di un ciclista, tre studi a inchiostro per
Stati d’animo di Boccioni (presente anche con tre opere scultoree, tra cui una fusione di
Forme uniche della continuità nello spazio),
La galleria di Milano e
Inseguimento di
Carrà,
Solidità nella nebbia di
Russolo,
Mare=Ballerina di
Severini.
Stando ai futuristi, il mondo è riservato “
ai giovani, ai violenti, ai temerari”. Provocatoria iperbole sotto la quale si scorgono sovente e fortunatamente note di acceso lirismo, come in
Materia di Boccioni: il ritratto dell’anziana madre che, silenziosa, domina la scena dal balcone della casa milanese e dalla cui compenetrazione dinamica dei piani e delle atmosfere emergono con intimo affetto – quasi in una citazione michelangiolesca – le possenti mani.