09 novembre 2000

Fino al 4.III.2001 Il colore ritrovato. Bellini a Venezia Venezia, Galleria dell’Accademia

 
C’è una mostra, in corso a Venezia, che è anche un evento eccezionale. Si tratta de “Il colore ritrovato. Giovanni Bellini a Venezia”…

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La mostra, oltre a proporre una nuova ed inedita lettura della figura del grande artista cui dobbiamo il prepotente rinnovamento della pittura veneziana tra la fine del ‘400 e i primi due decenni del ‘500, è l’occasione per tirare le somme di una imponente campagna di restauro che ha riguardato le opere belliniane nel corso degli ultimi quindici anni.
Curata da Giovanna Nepi Sciré e da Rona Goffen la rassegna ha un suo nucleo centrale alle Gallerie dell’Accademia, dove sono presentati una ventina di lavori, ma prosegue in alcuni luoghi della città lagunare dove sono localizzate alcune opere che si è preferito lasciare intoccate nelle loro sedi originarie.
Nella principale sede museale sono collocati alcuni pannelli che descrivono alcuni passaggi fondamentali dei restauri: le analisi stratigrafiche, le riflettografie computerizzate agli infrarossi, le radiografie e le fluorescenze all’ultravioletto. Gli interventi sulle opere hanno permesso di recuperare le splendide cromie belliniane, restituendo un complesso di opere in confronto delle quali quelle antecedenti al restauro paiono oggi solo pallide ombre.
Eppure è su quelle che si è costruita la fama recente di Giovanni Bellini (1432 ca.-1516) educato col fratello Gentile alla bottega del padre Jacopo, allievo lui stesso, con Pisanello, di Gentile da Fabriano. Chissà con quale entusiasmo avrebbe guardato a questo corpus restituito il grande Berenson a cui dobbiamo, con Fry, Gronau e Gamba la rivalutazione di Giovanni, che pure in vita fu considerato “il migliore pittore di tutti” (Albrecht Durer). Bellini, per la verità, non assurse alla fama giovanissimo ma intorno al 1470 iniziò una parabola ascendente che si spense solo alla sua morte; iniziato alla maniera tardogotica in ambito familiare, apprese in seguito dal cognato Mantegna una più energica definizione grafica, non rinunciando al proprio approccio intimistico nei riguardi della trattazione del paesaggio e delle tematiche religiose. Influenzato dal plasticismo di Antonello da Messina, la cui presenza è documentata a Venezia intorno al 1474-1475, v’è stato chi ha letto, in questo mutamento, significato dalla tendenza di distribuire con rigore architettonico le figure sulla scena e di collocarle nello spazio privilegiando lo studio della luce e della sua modulazione, un diretto riferimento al procedere dell’Alberti, del quale l’artista ebbe occasione di studiare le opere durante uno dei suoi rarissimi viaggi.
Al volgere del secolo una straordinaria stagione si aprì per Bellini, che finì per fare da caposcuola ad una schiera di artisti che imposero, ed esportarono fuori Venezia, la rivoluzione della cultura figurativa nel ‘500; tra questi Lotto, Giorgione, Tiziano, Sebastiano del Piombo e Palma il Vecchio, artisti che, inevitabilmente, non mancarono di influenzare il sempre recettivo Giovanni, specie per quanto riguarda l’uso dei colori secondo tecniche innovative, e il progressivo abbandono del disegno preparatorio alla stesura finale dell’opera.
Pittore che con disinvoltura seppe percorrere le strade della ricerca e della sperimentazione nell’ambito della tecnica, Bellini al contrario non si distaccò mai dal proprio originale rapporto con la religiosità, ben evidente nelle sue opere; un approccio al sacro che non si fece mai mondano ma fu piuttosto profondamente intimo e umanissimo. E’ conosciuto per le sue Madonne con il Bambino, diremo che poco concesse alla narrazione degli eventi biblici perché gli fu più congeniale la sintesi del sacro resa attraverso il colloquio degli sguardi, la gestualità innocente che trasmette affetti profondi, riservati, silenti. Come nel rito liturgico il silenzio descrive il rinnovarsi del Mistero
eucaristico, così nelle opere di Giovanni il Mistero si trasmette silenziosamente, attraverso il gesto affettivo. E forse dunque non è lontana dal vero l’ipotesi che Bellini abbia tratto questa particolare concezione dalla frequentazione di cerchie culturali sviluppatesi intorno alla meditazione delle concezioni di L.Valla, la cui fondamentale opere “De vero falsoque” si diffuse in ambito veneziano intorno al 1430. Fondamentale per il pensiero rinascimentale, la filosofia di Valla promuoveva un riscatto del vissuto quotidiano, come esperienza concreta che conduce alla voluptas fisica e spirituale. Di qui le ragioni dell’anima non rimandano più ad un piano astratto e irreale, bensì alla quotidianità: l’amore del divino finisce dunque per assomigliarsi all’umana corrispondenza di affetti.
Nelle opere di Giovanni Bellini ogni elemento rimanda al messaggio sacro: nei paesaggi, negli elementi architettonici, negli interni, ogni oggetto, ogni forma vegetale e animale nasconde precise corrispondenze riferite all’iconografia sacra trattata sulla tavola.
Per tornare alla mostra, nella sala XXIII delle Gallerie dell’Accademia sono disposte opere delle quali è finalmente possibile vedere le cromie originali, e le sorprese non mancano: nella celebre Pietà splendono gli azzurri e i viola del manto mariano, mentre il paesaggio retrostante sembra accendersi nei verdi, nei bianchi, nei gialli.
pietà delle rose
Il restauro ha mostrato come l’artista abbia voluto rendere luminescente il prato mediante la stesura di ben cinque sottili strati di vernice. Nell’Annunciazione della Chiesa di Santa Maria dei Miracoli l’Angelo ha smesso i panni grigi per rivestirsi di una tunica che sembra riflettere l’azzurro di lapislazzuli del manto della Madonna Annunciata. La “Pala San Zaccaria” mostra i candidi marmi e il tappeto musivo della volta absidale; e a proposito di mosaici splende ora quello d’oro bizantino nella “Pala San Giobbe”, ove l’osservatore ora si incammina sicuro al cospetto della Madonna sotto la botte di lacunari.

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Alfredo Sigolo



“Il colore ritrovato. Bellini a Venezia”, dal 30 settembre al 4 marzo 2001. Venezia, Gallerie dell’Accademia, Dorsoduro 1050. Informazioni: tel. 041/5200345 (anche per le prenotazioni); fax 041/5200410. Orari: tutti i giorni dalle 8.15 alle 19.00. Lunedì dalle 8.15 alle 14.00. Servizi: visite guidate, bookshop. Ingresso £ 12.000. Catalogo Electa a cura di Giovanna Nepi Sciré e Rona Goffen, £ 50.000.
Altre sedi: Pinacoteca della Fondazione Querini Stampalia, Museo Correr, Palazzo Ducale, Basilica di Santa Maria Gloriosa dei Frari, Basilica dei Santi Giovanni e Paolo, Chiesa di San Pietro Martire, Chiesa di San Zaccaria, Chiesa di San Francesco della Vigna, Chiesa di San Giovanni Battista al Tempio, Chiesa di San Giovanni Crisostomo, Chiesa di San Salvador.



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10 Commenti

  1. Visto che molte delle chiese coinvolte nell’iniziativa sono fuori dai più banali circiuti turistici, l’iniziativa è l’occasione di vedere anche l’altra venezia: quella che proprio perchè lontana dalle comitive vocianti conserva intatto il suo fascino.Mi riferisco in particolare a San Pietro, gloriosa concattedrale della serenissima, e san Francesco della vigna, un oasi di pace ai limiti del monastero isolato in mezzo alla campagna come atmosfera.Insomma sembra proprio che venezia abbia capito che oltre ad essere “museo diffuso” deve proporre anche “mostre diffuse” di cui giovano i turisti, le opere non decontestualizzate…e speriamo in futuro gradualmentele aree piu’ congestionate della citta’.Bell’articolo, bella mostra e intelligente iniziativa.

  2. il colore e lo studio su di esso iniziato con i veneti influenzerà tutta l’arte futura. non è idagato abastanza il rapporto che esso istaura con la pittura italiana di ‘minori’.

  3. Umberto: perché non ci dici qualcosa tu? Giusto le cose cui hai pensato scrivendo il messaggio. E non sto scherzando! Mi fa piacere sentire altri contributi. Ho presente gli influssi sull’arte emiliana. Fondamentali specie dopo la devoluzione dello Stato Estense al Papato, ma forse intendevi qualcosa d’altro.

  4. Nel frattempo nei giardini della Biennale si lavora al seppellimento della pittura:
    “…Se questa non è una sepoltura ufficiale dell’arte come pittura o della pittura come arte, qualcuno ci dica come dev’essere una sepoltura: mancava solo il rogo nei Giardini di una catasta di tubetti, tavolozze, pennelli e tele………ma in tal caso forse sarà meglio organizzare delle esequie in pompa magna: non sembra infatti decoroso che piú di mille anni di una storia gloriosa debbano finire in modo tanto sommesso e silenzioso…” (Il Giornale dell’Arte – N.179 – Luglio Agosto 1999)

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