Soprattutto videoartista, ma si occupa anche di fotografia, disegno, musica e installazioni,
Carles Congost (Olot, 1970; vive a Barcellona e Madrid) occupa un posto di primo piano nell’arte contemporanea spagnola. Utilizza gli attuali linguaggi dei media, che mostra di saper padroneggiare, dal videoclip all’iconografia dei film di serie B, alla pubblicità in genere.
La Mala Pintura è tutto questo. Una delirante e visionaria storia che, per il flusso d’immagini che scorrono sullo schermo, invade il nostro immaginario già abbondantemente carico di scarti e frammenti che nulla aggiungono alla visione delle cose. È d’obbligo, in questo senso, tenere presente una sua dichiarazione sul modo di rappresentare le cose: “
Offrire una nuova prospettiva sul mondo mediante l’ampliamento di una porzione incompleta, imperfetta della realtà”.
Parlando di ampliamento della realtà è evidente che la dilatazione filmica e quindi le azioni sceniche e le sequenze utilizzate hanno una funzione che passa attraverso il disvelamento di un mondo, in questo caso dell’arte, che per l’artista spagnolo è intriso di ipocrisia. Il gallerista, il critico, l’artista, le istituzioni artistiche in genere, l’arte passata e contemporanea, nella narrazione che ne viene fatta sono tutte le figure che vengono messe a nudo, senza possibilità di scampo. Un “
viaggio negli inferi”, come sottolinea nel testo di presentazione Luigi Meneghelli, che l’artista invita a compiere, usando ogni mezzo, per mettere ordine in una situazione, quella del mercato dell’arte, che è sfuggita di mano.
Le ragioni provengono anche dalla storia dell’arte. Tre nomi del
siglo de oro,
Murillo,
Velázquez e
Zurbáran, le cui caricature irrompono nella narrazione, non sono altro che i fantasmi che attraversano la mente del curatore, che è usato per ribadire la tradizione estetica contro i nuovi linguaggi che sono assimilati dalla scena artistica contemporanea. Ma se questa istanza della tradizione vuole avere le sue ragioni, Congost chiede aiuto a un’altra figura, Walter Benjamin, che materializzata ammonisce il curatore e i suoi fantasmi, con la lettura di un passo fondamentale del suo saggio
L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, dove una volta per tutte si sancisce la perdita dell’aura nell’opera d’arte.
Ma la conclusione del video mette tutto a tacere. L’accanimento del passato, attraverso i tre pittori, e il curatore senza scrupoli saranno sconfitti grazie a una soluzione che viene proprio dalle nuove tecnologie, in questo caso informatiche, che risucchiano entropicamente tutto questo mondo, incapace di capire ciò che sta accadendo proprio nel mondo dell’arte.
Lo stile delle immagini, però, non ha nulla di patinato; è attraverso lo sporco, lo scarto estetico contemporaneo che Congost costruisce questo dramma barocco, destinato a soccombere proprio perché insopportabile.