È stata fra le prime donne fotografo. Ha studiato nell’entourage di Stieglitz, sperimentando inquadrature inconsuete e cimentandosi in tutti i campi essenziali della fotografia d’arte del primo ‘900. È stata definita “creatrice della modernità”. La sua sembra qualificarsi subito come un’esperienza di ricerca. Eppure, la prima cosa che salta all’occhio guardando le fotografie di Germaine Martin (Losanna, 1892-1971) è la qualità del suo sguardo, la grazia fatta di geometrie pure, l’ordine supremo e naturale che le pose, spesso complesse, riescono a sprigionare. La mostra Photographies, organizzata in occasione della rassegna Padova Aprile Fotografia, documenta la sua molteplice attività artistica fin dagli esordi.
Nella prima delle quattro sezioni, Uno sguardo, sono esposti i suoi ritratti giovanili. È evidente l’influenza del pittorialismo, una corrente che intendeva servirsi della fotografia come oggetto d’arte più che come strumento di fotocopia del reale. Ecco spiegate le riprese della pittura tardo ottocentesca: le figure modellate di luce, le pieghe della pelle e i contorni che assumono rilievo grafico. Già sono chiari i suoi interessi fondamentali: la figura umana, il chiaroscuro caldo e morbido, l’attenzione per la composizione e l’inquadratura.
Ma è nella seconda sezione, Volti, che la vera qualità della fotografia della Martin si dispiega: i volti dei bambini, della gente qualunque, degli artisti, delle più belle attrici dell’epoca, diventano senza tempo. L’inquadratura è sempre ricercata: dal basso verso l’alto, obliqua, tagliata, ravvicinata. Eppure scompare.
Lo sguardo è iperstrutturante, ma nascosto. Il risultato è una costruzione solida, dalla perfetta proporzione, che sprigiona con naturalezza il carattere del soggetto: così madame Rosay assume le sembianze di una vecchia ammaliatrice, l’attore Doucking appare concentrato come se fosse in scena, il pianista Fischer ha lo sguardo terribile e trattenuto di chi è in grado di domare Beethoven, Louis Armstrong, ritratto con la sua tromba, ha la statura del mito e la fragilità dell’uomo. Ugualmente nelle successive sezioni: in Nudi svelati il corpo diventa un paesaggio di proporzione aurea. Come l’Olympia di Manet, la modella Mayami Ziouna ha l’imperfezione e l’erotismo del corpo vero, e l’armonia della statua classica. In Forme la parentela con l’avanguardia è scoperta: le campagne e i vigneti francesi diventano composizioni lineari, stratificazioni di piani. Le fibre vegetali, i legumi, le conchiglie, le ombrellifere diventano figure geometriche, texture. Viene in mente la ricerca di Stieglitz, ma pure il brivido dei pittori quattrocenteschi che scoprirono la regola della prospettiva. Anche il surrealismo lascia il segno, in particolare negli esercizi di sovrimpressione: volti di donne mescolati a trame vegetali, o rocce vetrificate, come nelle poesie di Bréton. In Istanti di vita, l’ultima sezione, Martin dimostra di sapersi misurare anche con l’istantanea e il reportage: ritrae gitani, circensi, contadini e pescatori intenti nella fatica quotidiana, cogliendo la vita nel suo pieno.
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