Il bello della Biennale è che ogni
luogo può essere una sorpresa, e la sede di una mostra un inaspettato regalo. È
quello che capita all’Isola di San Giorgio, sede della Fondazione Cini, ove
sono ospitate – oltre alla possente ricostruzione video delle
Nozze
di Cana del
Veronese realizzata da
Greenaway –
due chicche, evidentemente di natura eterogenea, che rendono interessante una
visita non solo per gli arditi stacanovisti delle arti visive.
Nei saloni della Fondazione trova
spazio una corposa antologica di
John Wesley (Los Angeles, 1928), autore pop
tra i più prolifici, stranamente sottorappresentato in Italia. Il progetto –
alle cui spalle ci sono la Fondazione Prada e la cura di Germano Celant –
racconta i cinquant’anni di lavoro del californiano, ricostruiti analiticamente
per temi e cronologie, tracciando al contempo un profilo socio-antropologico
dell’Occidente.
Wesley è infatti un autore che si
segnala per la capacità di cogliere le trasformazioni collettive nel campo
della morale e dei comportamenti sessuali, come testimoniano le sue tele
dipinte ad acrilico dalle tinte piatte, senza velature né chiaroscuri, con una
modalità riconducibile al fumetto e con l’impiego di un insistito
pattern
painting.
Sono spesso particolari anatomici,
ritagli di carne o pezzi proibiti di corpo che si srotolano sotto gli occhi
dello spettatore in maniera ironica, giocosa, quasi fanciullesca, mettendo al
contrario alla berlina situazioni atipiche o più propriamente compromettenti.
Ecco così il mitologico
Leda e il cigno trasformarsi in
Leda
and the Man e mostrare un uomo di mezza età mentre rincorre il volatile in evidente stato
di eccitazione. Oppure una donna trattenere le proprie cosce invitanti o non
esitare a farsi annusare da un orso.
La modalità di rappresentazione è
decisamente pop, come aiutano a capire anche molti soggetti tratti
dell’universo dei cartoon e dell’immaginario infantile (elefanti, piccioni, gabbiani…),
sebbene l’erotismo sia sempre dietro l’angolo. Come scrive il curatore,
“
Wesley è riuscito a comunicare un messaggio sulla sensualità
dell’arte, condotto attraverso immagini personali e quotidiane, che è
incomparabile perché filosofico ed estetico, metafisico ed erotico”.
È straniante invece entrare in una
piscina per vedere la mostra di
Matthias
Schaller (Dillingen, 1965; vive a Venezia e New York), ospitata sotto le volte di un edificio in cemento armato
degli anni ‘60. La vasca, accessibile con una scaletta metallica, è vuota e
alle due estremità sono stati collocati rispettivamente un’enorme parete color
porpora e tre piccoli muretti.
L’uno raccoglie,
rigorosamente equidistanti, trenta foto delle scrivanie di prelati dell’alta curia
romana; l’altro un trittico di scafandri da esplorazione spaziale. L’impatto
visivo è forte, soprattutto per le foto degli uffici, che mostrano con
un’icasticità disarmante la normalità – o l’assoluto kitsch – dei luoghi in cui
vengono prese decisioni di natura morale o religiosa di grande portata.
È stuzzicante guardare
e ragionare su quanto siano uomini, come tutti, coloro che si occupano di come
va il cielo. E sembra che, alla fine, lì in alto qualcuno stia veramente
giocando a dadi.
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ma questo wesley è un disastro ancora peggio delle marionette di alex katz!
ma tra i detrattori del padiglione italia di beatrice e beatrice (che non è piaciuto nemmeno a me)ci sarebbe qualcuno che mi sa spiegare in parole povere la differenza che rende questo un pittore di serie a e certa pittura italiana di serie b?
cos'è , basta la firma Celant o prada? se katz e questo imbianchino sono dei bravi artisti è ora di aprire le porte decisamente alla pittura dato che in giro c'è di meglio di questi vecchietti un po rincoglioniti,,,
forse che qui c'è della freschezza, non ti pare? poca forse ma ce n'è
vuoi della freschezza? prenditi un ventilatore!