I numeri parlano chiaro: 90 dipinti e 60 acqueforti da 34 illustri musei di 13 diversi Paesi. Non avrebbe potuto essere altrimenti, visto che l’ultimo evento dedicato alla veduta veneziana e al suo massimo interprete risale al 1967, con la storica mostra di Palazzo Ducale,
I vedutisti veneziani del Settecento.
Curata da un team internazionale di esperti, l’esposizione trevigiana rilegge lo splendore della città di Venezia e la consacrazione del suo mito e, attraverso l’opera di
Canaletto (Venezia, 1697-1768), la nascita e lo sviluppo della veduta settecentesca.
Il percorso espositivo si apre con i lavori su carta e su tela di
Gaspar Van Wittel (ne
Il bacino verso la punta della dogana e ne
Il molo del bacino di San Marco la vista e già uno strumento ottico che inquadra e domina la realtà), a rimarcare l’approccio esegetico rigoroso con la matrice nordica diluita però dal classicismo di Antonio Canal (le pitture di scenografie, il viaggio a Roma del 1719, la lezione di
Giovanni Paolo Pannini) e dai suoi epigoni, maggiori e minori (
Antonio Stom,
Johan Richter,
Jacopo Fabris,
Bernardo Canal,
Francesco Tironi, presenti con opere selezionate).
Il vedutismo, prima di essere rigore dello sguardo e visione della mente, è traduzione di un pensiero illuminista che con la forza della ragione ha ripulito il XVIII secolo dalle futili ridondanze, aprendolo al Neoclassico e dunque alla modernità.
Canaletto ottiene la definitiva consacrazione di critica (a lui “
pochi nella intelligenza, nel gusto, nella verità possono essere accostati”) solo negli anni ’30; proprio l’adesione al vero però – superata la fase giovanile delle vedute fantastiche -, l’uso di una prospettiva geometrica e controllata (in mostra anche una
camera ottica, la liberazione del disegno dalla falsità barocca) che restituisce nitidezza alle architetture, che re-inserisce le persone nei giusti spazi pur subordinandole a essi, immerse in atmosfere luminose e limitate nei virtuosismi chiaroscurali (prediligeva il dipinto dal vero, nelle giornate di sole) e giustamente sfocate nei campi lunghi o lunghissimi, lo aveva già reso precocemente moderno.
Ogni scorcio e una scelta culturale (la piazzetta, l’amata Riva degli Schiavoni sono comunque luoghi idealizzati), che indaga il brulicare della piazza o del canale, sia nell’orgoglioso sfarzo dell’area dogale e dei suoi cerimoniali (
L’ingresso al Canal Grande con la Basilica della Salute, l’incredibile panoramica de
Il bacino di San Marco visto dalla Giudecca), sia nella dimensione struggente e verista della città popolare (
Il campo San Giacometto,
Il campo di Rialto), seguendo con attenzione quel canale cosi bello “
da non poter essere paragonato a nessuna strada del mondo” (
Il Canal Grande da Palazzo Corner Spinelli fra i tanti).
Importanti i prestiti:
Il ritorno del Bucintoro (dal Puskin di Mosca) e il monumentale
L’ingresso solenne del conte di Gergy a Palazzo Ducale (dall’Ermitage di San Pietroburgo), che sottolineano l’importanza sociale del pittore, autore di vedute commemorative,
La sagra di San Pietro di Castello (dalla Gemaldegalerie di Berlino, in Italia dopo circa trent’anni),
Il Canal Grande da Santa Chiara e
La Piazza di San Marco dalle Procuratie Vecchie (per la prima volta esposte in Italia).
Canaletto coglie e influenza lo splendore di un’epoca, rendendo Venezia opera d’arte; nessun altro ha saputo sviluppare una pittura cosi completa ed equilibrata:
Luca Carlevarijs, maestro di Canaletto, rigoroso interprete di una pittura matematica e poco emozionale, per quanto di grande effetto, il nipote
Bernardo Bellotto che invece darà vita a vedute altrettanto decise e obiettive, rese malinconiche dai giochi chiaroscurali più intensi o
Michele Marieschi, che non si priverà mai del tutto del gusto per le scenografi e complesse, per i chiaroscuri accentuati e per i capricci.
Personalità a parte invece
Francesco Guardi, con il quale si chiude la mostra, fortemente legato all’impostazione canalettiana, nelle cui vedute si inserisce però una vigorosa componente pittoresca, caratterizzata da una pennellata frenetica, che già prelude al sentimentalismo romantico.