Può l’uomo moderno, incapsulato nel conformismo e
nell’alienazione della società contemporanea, comprendere ancora il concetto di
amore? E può un artista sperare, attraverso le proprie opere, di cogliere
l’essenza di un’emozione fatta di contrasti, allo stesso tempo esaltante e
lacerante?
Non intende fornire risposte definitive
Jim Hodges (Spokane, Washington, 1957; vive
a New York) in
Love, eccetera, sua prima personale in uno spazio pubblico italiano. Il
visitatore non viene condotto a verità assolute, ma calato in un’atmosfera
intima e leggiadra, nella quale raffinatezze che sembrano richiamare la poetica
stilnovistica si accostano a momenti più delicatamente introspettivi.
L’artista statunitense riesce a evitare ogni
banalizzazione attraverso una gamma espressiva che spazia dall’estrema
delicatezza alla massima violenza:
l’amore è gioia e vita ma, spesso, anche
lacerazione interiore,
causa mortis.Molteplici sono anche le scelte stilistiche e i materiali
adottati per rendere la complessità di un sentimento che risulterebbe sminuito
da una rappresentazione prettamente figurativa: fogli di giornale, sottili
lamine d’oro, partiture musicali, frammenti di specchi rotti accostati per
evocare un aulico riferimento alla leggenda di Narciso, il giovane innamoratosi
della propria immagine riflessa e riportato in vita da Ovidio sotto forma di
fiore (
Sans titre, 1997).
Proprio nella natura Hodges individua l’essenza del
sentimento amoroso. Essa è onnipresente e accompagna come una sorta di
fil
rouge il
visitatore: dai sontuosi alberi illuminati dalla foglia d’oro ai piccoli petali
di plastica assemblati sulla parete, diafana allegoria di vita che si carica di
sottili presagi d’inconsistenza e morte, fino a giungere ai fiori delineati da
pochi tratti di inchiostro e fissati su tovaglioli di carta raccolti nei locali
di New York (
A diary of flowers, 1994).
L’amore, dunque, può essere effimero, evanescente, può
svanire al minimo tocco, ma spesso diviene costrizione, si identifica con le catene
che compongono la parola ‘Love’ in
Chained (1994) e che delineano sottili e preziose
ragnatele in cui il lucente elemento metallico suggerisce bellezza ma, allo
stesso tempo, sensazioni di prigionia sensuale e violenta (
Hallo again, 1994-2003).
Italo Calvino auspicava, all’inizio del secolo scorso, che
la leggerezza divenisse elemento fondante del nuovo millennio. L’arte di Hodges
rispecchia pienamente l’ideologia dello scrittore: le sue opere fondono
minimalismo e gusto barocco, delineano una visione del mondo assolutamente
personale, in cui bellezza e gioia di vivere tendono spesso a identificarsi con
la malattia e con la morte in un rapporto che è ossimorico ma mai stridente né
portato all’eccesso. Un sottile e raffinato gioco di contrasti. Un’arte che,
anche nei suoi aspetti più malinconici, rilassa e non inquieta.
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Una Mostra davvero imperdibile!
Il desiderio di distacco dalla gravità è evidente in questa esposizione di Jim Hodges.
Artista che ho conosciuto personalmente nell' esposizione veneziana e, una fioritura fuori stagione.