L’incontro con l’opera di
Enrico Baj (Milano, 1924 – 2003) è un sorriso sincero e infantile, che si completa nella riflessione matura e disincantata del dramma che vede l’essere umano come materia o, meglio, come i materiali usati da Baj, ricchi di vita rinnovata, plasmabili, decorativi ma sempre accomunati dalla transitorietà dell’esistenza. Il titolo
OggettoSoggetto sottolinea quanto gli oggetti, i più disparati e comuni, riescano attraverso la combinazione artistica delle loro forme a essere portatori di contenuti, narratori di racconti.
Dall’ottimo catalogo, riportiamo le parole di Roberta Cerini Baj, moglie dell’artista, che al meglio descrivono lo spirito energico e il metodo di Baj: “
L’insaziabile accumulazione di cose che sceglieva attratto dai colori e dalle forme; il gesto con cui spargeva alla rinfusa sui tavoli in studio tutto quanto si preparava ad usare: pareva un seminatore intento al suo lavoro con la certezza di un prossimo abbondante raccolto”. E, prosegue Cerini Baj, “
soprattutto mi stupiva la sicurezza con cui sceglieva nel mucchio un pezzo, fiocco, quadrante d’orologio, bottone, medaglia che fosse, lo metteva nel quadro, e subito diventava altro, naso, bocca, occhio”.
L’uomo che risulta sopravvissuto a un possibile conflitto nucleare diventa un pupazzo grottesco, goffo e malinconico, organico o rigido, umanoide alieno o ridicolo borghese, aggressivo nel limite dei piccoli ruoli di potere della divisa militare, della medaglia, dello sterile comando, come nella grande opera
Comizio (1963), sberleffo alla demagogia di ogni regime.
Nella serie dei “generali” e dei “decorati”, presenti con
Generale Naso (1970) e
Militare decorato (1968), le divise possono essere di ovatta, cinte una vecchia tenda di broccato e le medaglie, se non vere, sono tappi di bottiglia. Quale miglior critica è quella dell’ironia sui simboli dell’autorità?
Baj riesce a far riflettere “prendendosi gioco” delle cose, stimola la curiosità guidando alla ricerca dell’incastro spiritoso e intelligente fra i più diversi materiali, tra colori e superfici rilevate, tra la pittura a olio e l’
objet trouvé, secondo una reale capacità alchemica. I tessuti di tappezzeria per tende o divani sono utilizzati negli sfondi come paesaggi o atmosfere, assumendo un valore pittorico ineguagliabile.
Irresistibili i lavori artigianali di
Le Petite Jatte (1971), omaggio a
Seurat, in cui acutamente la paillette svolge la funzione del puntino di colore, e
Gli Scacchi di Baj (1989), grande scacchiera in legno popolata di fantasiose pedine.
Dadaista nella libertà estrema dei materiali di scarto utilizzati, surrealista nel creare un mondo “altro”, ma al di là dei riferimenti, sicuramente personalità artistica unica nel panorama europeo. Merito di Anfiteatro Arte è condurre lo spettatore all’interno di una lunga vita di lavoro estetico, mostrandone la poetica come il procedimento esecutivo.