“Col tempo egli aveva maturato una tecnica che sorprendeva tutti coloro che conoscevano il mestiere e stupiva i profani. Colpi di pennello risoluti, pennellate massicce, a volte uno striscio di terra rossa schietta, altre volte una pennellata di biacca”, scrive Alvise Zorzi citando Marco Boschini.
“Egli” è
Tiziano Vecellio (Pieve di Cadore, 1488-90 – Venezia, 1576), protagonista di una mostra che ripercorre gli ultimi vent’anni della sua vita, alternando opere di grande interesse ad altre qualitativamente modeste. Un’esposizione ampia -curata da Lionello Puppi, “specialista” di Tiziano- che intende mettere in luce due diversi aspetti dell’attività dell’artista: quell’alchimia cromatica che caratterizza il suo stile tardo e la sua figura di imprenditore acuto, a capo di un’efficientissima bottega.
Negli ultimi anni della sua lunga vita, Tiziano reinventa il proprio modo di dipingere. Le figure e ciò che le circonda sono dissolte nel colore, quasi
non finite, dense di materia e prive di contorni definiti. Prevalgono i toni cupi, gli accenti drammatici.
Tra le opere in mostra che meglio illustrano questa nuova “maniera”,
L’Orazione di Cristo nell’orto, nella quale il vortice cromatico si concentra intorno alla minuscola figura di Cristo;
Venere e Cupido con cagnolino e pernice, dove terra, mare e cielo non sono più cromaticamente distinti ma definiti con pennellate sovrapposte color ocra, rosa, grigio e bruno. Straordinario il vigore cromatico dei due ritratti di Paolo III (
Ritratto di Paolo III dall’Ermitage e
Ritratto di Paolo III senza camauro): nel primo, il volto del Papa reso con pennellate nervose è smagrito, lo sguardo vigile e formidabile è la resa tattile del velluto porpora della mozzetta.
Nell’
Ultima Cena proveniente da Madrid, il tono bruno della composizione è acceso dal rosso delle tuniche degli apostoli e dalla tovaglia bianca e l’effetto di tridimensionalità è ottenuto solo con il colore. L’opera è esposta alla fine del percorso nel padiglione coperto che
Mario Botta ha creato per sfruttare come spazio espositivo il cortile di Palazzo Crepadona. Il nero e il rosso cremisi rivestono tutte le sale della mostra: la pittura veneta, lo annotava già Boschini, teme il bianco.
Le rimanenti sono soprattutto opere di bottega, un atelier organizzatissimo nel quale lavoravano collaboratori fedeli e familiari stretti.
La mostra è stata preceduta da accurati studi sulla bottega di Tiziano, che hanno cercato di ricostruire l’organizzazione del lavoro. Ogni opera era
“concepita dal maestro, sviluppata dalla bottega, riproposta a Tiziano che suole intervenire con intenti vivificanti” (Puppi). Difficile stabilire il “grado di autografia” di molte delle opere tarde:
“la distinzione tra maestro e bottega nell’ultimo periodo diviene spesso labile e sfuocata”. Di fatto, però, alcune delle opere in mostra sono piuttosto deludenti.
Una sezione è dedicata a stampe e disegni. Documenta un’altra attività dell’imprenditore Tiziano che, consapevole del valore della propria opera, ricorreva alle incisioni per “promuoverla” e farla conoscere anche in terre molto lontane dalla sua Venezia.
A Pieve di Cadore un’appendice della mostra. Lettere autografe di Tiziano e carte d’archivio testimoniano i rapporti dell’artista con la sua terra natale. Qui è esposta una sola opera a lui attribuita, il
Ritratto di donna davanti a paesaggio con arcobaleno, che Puppi identifica con Caterina Sandella, la madre delle figlie di Pietro Aretino, l’amico di una vita. Alle sue spalle, un paesaggio boscoso percorso da un arcobaleno rievoca le montagne tra le quali Tiziano era nato.