Come si sa, l’offerta artistica veneziana nei mesi della Biennale è sovrabbondante, e tra manifestazioni ufficiali, mostre a latere, eventi in galleria e quant’altro, molto spesso può capitare di essere disorientati, se non proprio frastornati. Ma talvolta girare per le calli può portare a delle sorprese inaspettate: ed è il caso di Henri Foucault (Versailles, 1954), scelto dalla Francia come unico rappresentante nell’ambito della sezione parallela della kermesse lagunare. Nel palazzo (in restauro da tempo immemore) che l’estroso Mariano Fortuny aveva utilizzato anche come atelier nei suoi anni di permanenza nella città, l’artista francese accoglie il visitatore con Sosein, opera di enorme dimensione (più di 16 mt x 4) caratterizzata dalla ripetizione euritmica di una stessa matrice di corpi femminili. I profili di donna a dimensione naturale e in forte contrasto su uno sfondo nero sono quasi una citazione dei Rayograph di Man Ray. Poi avvicinandosi si cominciano a scorgere i mille vuoti delle fotografie: sono state bucherellate ossessivamente (o forse, meglio, metodicamente) sulla superficie con un punzone rotondo, svelando una trama in opposizione cromatica con la superficie. Il colpo d’occhio è notevole e particolarmente riuscita è la dinamica della serialità che dà un forte senso di misura: si potrebbe dire che repetita iuvant. E l’artista sembra insistere sul concetto di terza dimensione applicato alla fotografia (cui è stato quasi sempre vietato se non con il ricorso ad escamotage di natura ottica) e sulla possibilità di espandere la superficie con interventi manipolatori sottrattivi/additivi.
È Satori, in cui le foto di donne a mò di silhouette vengono punteggiate da migliaia di spilli di acciaio le cui capocchie catturano ed irradiano la luce in mille differenti direzioni. Il titolo dell’opera è una citazione dell’Impero dei segni di Roland Barthes in cui l’autore spiega come l’esperienza dell’interpretazione di segni e immagini sia “il punto di partenza di un tentennamento visuale simile alla perdita dei sensi che lo zen definisce satori”. E Foucault riesce a trasmettere il senso di spiazzamento, accentuato dal fatto che gli spilli, di cui però si percepisce la luce, sono visibili solo avvicinandosi all’opera. Talvolta lezioso o afono (come nell’ingranaggio similmeccanico di Axe, decisamente fuori contesto), l’artista transalpino crea un’interazione non banale nelle Vitrine, dove opere fotografiche di Fortuny vengono accoste alle proprie. Ma è nel video Macula (è la parte di retina più sensibile) in cui una donna danza ruotando attorno a sé stessa, che lascia decisamente il segno. Coniugando spaesamento spaziale e toccante leggerezza.
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daniele capra
mostra visitata il 6 agosto 2005
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